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Perché Dark è sopravvalutata

Nonostante sia una serie amata, Dark non è esente da difetti. Ecco i motivi per cui è sopravvalutata

La serie TV Dark è tornata sulla bocca di tutti dopo che gli stessi creatori, Baran bo Odar e Jantje Friese, hanno dato vita ad una nuova serie rilasciata da poco e intitolata 1899, sempre distribuita su Netflix. Per di più, i creatori sono stati accusati di plagio da una fumettista brasiliana proprio a causa di elementi nella narrazione di 1899. Insomma, in un modo o nell’altro gli sceneggiatori tedeschi sono sull’onda del successo per le complesse serie generate. Dark è amata da tutti, eppure non è esente da difetti e soffre della sovrabbondanza di fattori derivati dal postmodernismo. Di seguito, le motivazioni per cui Dark, serie TV tedesca distribuita su Netflix dal 2017 fino al 2020, è sopravvalutata.  

Un recap sulla serie TV Dark, disponibile su Netflix 

Dark è una serie TV tedesca composta da 3 stagioni e 26 episodi totali; l’obiettivo dei creatori è quello di immergere lo spettatore in uno scenario misterioso − la serie è anche conosciuta come I segreti di Winden − che vede come protagonisti i cittadini di un piccolo luogo conosciuto come Winden, alle prese con problemi familiari e non solo. Il dramma si interseca con gli elementi soprannaturali che ad un certo punto della narrazione prevalgono, ricordando I segreti di Twin Peaks, ma distanziandosene per dinamiche e sviluppi. 

 

Il motivo di tanta attenzione nei confronti di Dark, lo si deve probabilmente alla natura complessa ed intricata con la quale gli sceneggiatori hanno tentato di sorprendere gli spettatori. Infatti, si punta all’emotività, allo stupore, attraverso meccanismi simili alla mise en abyme, cioè di “storia nella storia”: si procede con lunghi salti temporali tra epoca diverse nello stesso luogo, e vicende continuamente stravolta dal cambio di punto di vista a seconda del personaggio che racconta. 

 

Se nelle prime due stagioni vengono presentati diversi simboli come fil rouge di una narrazione criptica, è nella terza ed ultima che si riscontrano tutti i problemi. Tutti gli elementi interessanti posti come vero e proprio dilemma filosofico, vengono scialbamente rovinati dalla mania degli sceneggiatori di complicare forzatamente la storia. La triquetra, la medaglietta di San Cristoforo, l’uroboro, i fili rossi, e i temi legati a questi oggetti quali vita e morte che si rincorrono infinitamente, la crisi esistenziale di un individuo fuori posto in conflitto con sé stesso per porsi al di fuori della vita pur di pensare al bene comune; ma anche la volontà individuale che al contrario può rendere impossibile la sopravvivenza del mondo inteso come comunità; l’essere schiavi del tempo rappresentante di un destino ineluttabile.

 

Numerosi punti, dal nichilismo alla fede religiosa, passando per il volontarismo portato dal sacrificio dell’individuo, che vengono rovinati dalla terza stagione. Si passa all’analisi dei motivi specifici per cui il finale di Dark, non necessiterebbe una spiegazione per quanto si banalizza nel tentativo di complicarsi.

Nonostante sia una serie amata, Dark non è esente da difetti. Ecco i motivi per cui è sopravvalutata

I motivi per cui Dark è una serie TV sopravvalutata

Dopo una prima stagione che, al passo con i tempi e il tipo di narrazione seriale, dilata i tempi di introduzione e il consequenziale carburare degli eventi e delle relazioni tra i personaggi, riesce comunque ad istillare dubbi sulle tante sotto trame aperte e a impreziosire una seconda stagione che vira verso i temi sopra citati. La chiusura di Dark in 18 episodi, forse era cosa più gradita e credibile, dato il tragico proseguo della serie in termini di qualità. Infatti, la triquetra con i rimandi cristologici al numero 3 e portatrice di significati quali vita e morte che si inseguono in un loop infinito, in parallelo alla tematica più terrena dell’amore che muove e giustifica l’irrazionalità delle azioni − si veda Jonas con Martha, così come Claudia con sua figlia Regina, Ulrich con Mikkel e così via − portano avanti un’elaborata concatenazione di eventi iniziati in un’epoca lontana per terminare in un futuro apocalittico. 

 

Ogni scenario creato in epoche diverse, con ogni elemento e personaggio al posto giusto al momento giusto (o in più momenti e in più posti) combaciano perfettamente nella conclusione della seconda stagione, in un cerchio infinito che richiama il simbolo della triqueta. Charlotte è contemporaneamente figlia e madre di Elizabeth, così come ogni cittadino di Winden è implicato in un particolare evento (come il generare vita) in un determinato periodo storico della comunità. Un distopico ritratto di una realtà ormai eccessivamente snaturata dall’individuo mosso da scopi personali − tutti mentono, tutti agiscono per finalità proprie − e per questo la vita a Winden è (quasi) irrimediabilmente macchiata da un disegno più grande, un destino ineluttabile che deve compiersi obbligatoriamente. All’amore viene contrapposto il nichilismo, alla vita la morte. 

 

Una conclusione in un solo episodio più lungo, se proprio si voleva raggiungere un percorso diverso dal finale della seconda stagione, avrebbe potuto svilupparsi in modo più credibile sull’onda dei temi appena citati. Purtroppo, la terza stagione ha un’inutile e ridondante deriva da soap opera che inevitabilmente genera noia, data la ripetizione di eventi già visti nel corso delle due stagioni ma ripetuti per l’introduzione di un altro mondo alternativo, oltre quello già conosciuto. Adam ed Eva sono gli artefici, i veri creatori dei rispettivi mondi che finiranno per unirsi in maniera (in)dissolubile nel simbolo della triqueta. Ma la vera domanda è, perché cercare di aggiungere carne al fuoco se già ci sono da far aderire fattori di diverse sotto trame a spasso nel tempo? Non bastava ingarbugliare più passati, un presente e un futuro? La scelta di creare una realtà alternativa, porta alla soap opera e alla dilatazione temporale, mentre la trama principale procede lentamente, ingolfata. 

 

Probabilmente, tale decisione dei creatori della serie TV tedesca, la si deve al gusto degli spettatori per i rompicapo e per l’amore provato per il cinema di Nolan, che è ben studiato, a differenza della gestione di Dark. Il polpettone indigesto mal distribuito negli 8 episodi finali, si arresta solo nell’ultimo, quando il ritmo diventa frenetico per far sì che tutto torni. Ed è esattamente questo lo spirito della terza stagione di Dark: cercare di mettere in scena una ragnatela di eventi e personaggi uniti tra di loro per sorprendere, nel finale definitivo, lo spettatore. Le tematiche filosofiche, morali e religiose, lasciano spazio al luna park di citazioni alle passate stagioni e al gioco speculativo che può portare al chiacchiericcio sul web. La qualità va a farsi benedire per lasciare spazio ad un mero esercizio di scrittura, fallito miseramente nel tentativo di risultare attuale nel suo essere postmoderno.

 

E infatti il finale banalizza quanto di buono si era costruito: l’orologiaio Tannhaus vive nel cosiddetto mondo d’origine, inventa la macchina del tempo per cercare di evitare la morte di suo figlio dopo un incidente che ha coinvolto anche la moglie e il loro bambino. Per evitare una tragedia, per un semplice scopo individuale e la mancanza di elaborazione del lutto, l’orologiaio finisce per creare altri due mondi oltre il suo, con un unico destino unito ed eventi simili che si ripetono in loop. Alla fine, Jonas (Adam) e Martha (Eva) decidono di far cessare l’esistenza dei rispettivi mondi per tornare al mondo d’origine, in cui esistono ancora personaggi incontrati a Winden; ma certe relazioni non si sono mai create. Ciò conferma quanto detto in precedenza, è tutto un inutile gioco al riconoscere azioni già viste, per poi tentare inutilmente di lasciare il finale aperto: Hannah Kahnwald sta per avere un figlio con Torben Wöller, e vorrebbe chiamarlo Jonas, come nel mondo alternativo. Una scelta senza un vero e proprio significato, ancora una volta presa solo per generare sul web dei dialoghi su ipotesi che mai potrebbero concretizzarsi. Tra l’altro, per concludere, se si va a rivedere e spulciare minuziosamente tra tutte le linee narrative, non torna proprio tutto, a rigore della logica innescata dai creatori.