Articolo pubblicato il 13 Aprile 2022 da wp_13928789
“Ariaferma” è un film diretto da Leonardo Di Costanzo (“L’intervallo”), con Toni Servillo e Silvio Orlando rispettivamente nei ruoli della guardia carceraria e del carcerato. Uscito in sala il 14 ottobre 2021, il film è stato presentato fuori concorso alla 78esima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
In quest’ultima sua opera Leonardo Di Costanzo parte dall’aria ferma nel carcere di Mortana, dove l’ordine di dismissione e chiusura della struttura carceraria è ormai quasi completato e si sta ultimando il trasferimento dei detenuti. All’improvviso arriva una spiacevole sorpresa: per questioni meramente burocratiche gli ultimi dodici detenuti non possono lasciare il carcere e una squadra di agenti penitenziari ha l’ordine di restare in servizio per pochi giorni, guidati dal più anziano di loro, Gaetano Gargiulo (Toni Servillo). Dall’altro lato, a capeggiare il gruppo dei detenuti abbiamo Carmine Lagioia (Silvio Orlando), un malavitoso di cui intuiamo i numerosi omicidi commissionati e non solo, la sua nomea lo precede e nella scala gerarchica dei carcerati è quello più rispettato. Ma abbiamo un terzo personaggio ad essere un catalizzatore del film, ossia il giovane Fantaccini (Pietro Giuliano), un ragazzo problematico tormentato da quello che ha fatto.

La partenza è decisamente ammaliante, ma è il proseguo e il dove si vuole arrivare a rendere “Ariaferma” un film ricco. Il percorso ad ostacoli inizia quando i carcerati si accorgono di essere stati sballottati qua e là senza un reale interesse dai piani alti, come se fossero carne da macello. Vengono costretti a restare in una struttura di passaggio in attesa di quella definitiva, e nel contempo si ritrovano chiusi in gabbia, ma in condizioni fin troppo limitate: non possono ricevere visite da nessuno, sono sospese le attività e soprattutto il cibo è precotto, a tratti immangiabile, ed è motivo scatenante di una ribellione a suon di colpi alle sbarre. Eppure nemmeno le guardie carcerarie si ritrovano nelle migliori condizioni lavorative, essendo rimasti in pochi uomini (non abbastanza per controllare bene tutti in qualsiasi momento) e anche loro forzati a mangiare lo stesso cibo dei detenuti, avendo la cucina chiusa.
Proprio attraverso il cibo viene messo in scena il duello sociale tra due controparti storiche: guardie e ladri. Lagioia si fa portavoce del gruppo criminale e chiede di aprire la cucina in modo da tale da permettergli di preparare qualcosa di commestibile quantomeno, di maggiore qualità. Dopo una conversazione costruita sulle frecciate e la voglia di imporsi in alto da parte delle guardie nei confronti di Lagioia, ecco che Gargiulo sorprende tutti e approva la richiesta dei detenuti. Questo perché nonostante Gargiulo come gli altri tende più volte a rimarcare la differenza che c’è tra le due parti, si dimostra molto umano nei confronti di persone che hanno fatto del male ma con cui si ritrova a condividere lo stesso tetto per dei giorni, nelle stesse condizioni. D’altro canto è l’elemento che Lagioia non smette mai di far notare come, al di là delle apparenze, siano in realtà tutti prigionieri di questo sottomondo claustrofobico (siamo tutti chiusi in carcere). Nessuno sa quando avverrà il trasferimento, nessuno sa perché ci si impieghi così tanto. L’ignoto è insito, impregna l’anima (corrotta e non) dei personaggi messi in scena da Di Costanzo in una maniera intima ed umana come non lo si vedeva da un pezzo. Si vede che parliamo di un regista che ha studiato come documentarista in Francia, non sceglie mai la via dell’espediente narrativo drammaturgico ma preferisce una rappresentazione il più realistica possibile, sia per denunciare sia per narrare, seppur in modalità più fredde e distaccate rispetto ad altri film di genere. Ciò nonostante con questo gioco di campi e controcampi psicologici tra due attori di pregevole fattura, si ottengono due personaggi sfumati nella loro essenza, creando il “caldo” nel “freddo” narrativo. Ad interni claustrofobici, a tratti addirittura disturbanti per la mancanza d’aria che si percepisce, si alternano esterni in campi lunghi abbastanza suggestivi, volti a mostrarci sia il grigiore che abbraccia non solo la struttura ma anche l’ambiente al di fuori delle mura, sia per aumentare il senso di claustrofobia di cui abbiamo parlato.

L’umanità diventa momento di condivisione nel momento stesso in cui si da voce ad un gesto tra i più umani, ossia il cucinare prima e il consumare i pasti poi. Lagioia e Gargiulo sembrano avere tante cose in comune nonostante la grande differenza che li separa, entrambi prendono a cuore la vicenda di Fantaccini, giovane di cui conosciamo il crimine (a differenza degli altri carcerati) e che sembrerebbe in procinto di essere condannato dalla corte. Il suo tormento è anche legato alla mancanza di figure genitoriali di cui confessa aver accusato l’assenza durante una conversazione con Lagioia terminata in un delicato pianto. Ragazzo che prova a rendersi sempre utile, voglioso di avere una parte anche laddove c’è poco da essere invogliati, si fa voler bene da tutti anche se non parte con il piede giusto. Sia Gargiulo che Lagioia gli dimostrano benevolenza in modi diversi, e anche tra di loro inizia a crearsi paradossalmente un rapporto di stima reciproca, confermato dal finale in cui entrambi parlano delle loro origini napoletane (lo stesso regista è campano). Ma essenziale è ancora il cibo, poiché per un lasso di tempo viene a mancare l’energia elettrica in tutta la struttura durante un temporale, e allora le guardie guidati ancora una volta dalla decisione finale di Gaetano Gargiulo, consentono ai carcerati di cenare fuori dalle celle e fare un’unica tavolata (anche con le guardie stesse appunto). Certo, non tutti sono convinti di questo improvviso crollo delle barriere tra i due gruppi (un sottoposto infatti convoca una squadra antisommossa nel caso in cui qualcuno avesse voluto fare il furbo). La scena topica di tutto il film è sicuramente questa, in cui percepiamo grande umanità a tal punto da scaldarci il cuore e farci comprendere in aggiunta, che anche tra i carcerati c’è una morale e un “codice”: il più anziano dei condannati di cui captiamo la gravità del reato (abuso su minori probabilmente) viene malvisto dai suoi compagni, nessuno vuole mangiare con lui, tranne il “bonaccione” qual è Fantaccini. Tra battute, provocazioni e racconti, il tempo scorre più velocemente laddove sembrava totalmente bloccato (ecco che l’immobilità trova in realtà movimento).
“Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo si conferma essere un film di livello assoluto, rientrerà con ogni probabilità nel meglio dell’anno e di sicuro tra i migliori titoli italiani degli ultimi anni. Un’opera intima, umanistica e addirittura Foucaultiana nella sua rappresentazione delle verità assorbite dalla società (politica), minate poi dal crollo delle barriere durante la tavolata finale. L’aria è ferma, tutto sembra immobile, eppure è costantemente in movimento.
Voto: 8,5\10
– Christian D’Avanzo
Andrea Barone: |
Andrea Boggione: |
Carlo Iarossi: |
Paolo Innocenti: 9 |
Giovanni Urgnani: |