Recensione – Living: il remake di Ikiru di Kurosawa con un emozionante Bill Nighy

Articolo pubblicato il 23 Marzo 2023 da Vittorio Pigini

Presentato in anteprima nell’edizione di gennaio 2022 al Sundance Film Festival, “Living” è stato poi presentato fuori concorso alla 79a edizione della Mostra Cinematografica di Venezia, prima di venire distribuito nelle sale alla fine dell’anno.

 

Il film è il quinto lungometraggio del regista e scrittore sudafricano Olivier Hermanus ed è il remake di uno dei grandi capolavori del Cinema (orientale), ovvero lo splendido “Ikiru” (“Vivere”) del 1952 diretto dal maestro giapponese Akira Kurosawa, a sua volta ispirato alla novella di Lev Tolstoj “La morte di Ivan Il’ič”.

Di seguito la recensione del drammatico ed intenso film che vede come protagonista un magnifico Bill Nighy.

Living, di Olivier Hermanus: la trama

La Londra del 1952 sta ancora vivendo una fase di rinascita e ricostruzione in seguito alle macerie causate dalla Seconda Guerra Mondiale. A tal proposito, il dipartimento dei lavori pubblici della contea è sicuramente molto indaffarato in questo periodo, con le le pratiche autorizzative che vanno via via ammucchiandosi sopra ogni scrivania degli uffici. Il personale però sa che potrà contare sulla sicura e retta leadership del Mr Williams: uno dei senior tra i burocrati, stimato da tutti per la sua operosità e per il suo approccio da gentleman.

 

Un giorno però, Mr Williams è costretto ad uscire insolitamente prima da lavoro per recarsi dal proprio medico di fiducia. Questo gli porterà la sciagurata notizia di essere affetto da un male incurabile, stimandogli altri 6 o 9 mesi ancora da vivere.
Distrutto dalla notizia, Mr Williams è particolarmente scosso non tanto per la consapevolezza di avere i giorni contati, quanto dalla voglia di godersi i suoi ultimi attimi ma non sapere come fare, data la sua esistenza da “triste burocrate” dedito al lavoro e non al piacere.

 

Aiutato da amici imprevisti e colleghi, Mr Williams cercherà di vivere dignitosamente e con piacere gli ultimi mesi che gli rimangono da vivere, cercando anche di portare a termine un proprio piano divenuto particolarmente caro.

 

Recensione del nuovo film di Olivier Hermanus: Ikiru, Vivere, Living

Quello diretto dal regista sudafricano è un sorprendente inno alla vita sceneggiato dal premio Nobel per la Letteratura nel 2017 Kazuo Ishiguro. Il film infatti riesce a stupire non necessariamente per proporre un film eccezionale che cambierà la storia del Cinema, ma perché si è trovato a fare i conti – in qualità di remake – con un titolo che invece quella storia l’ha riscritta 70 anni fa. Porsi come nuovo rifacimento di una perla tanto pregiata, come il 14° lungometraggio dell’imperatore nipponico Akira Kurosawa, porta inevitabilmente con sé il peso di un improbabile ed impari confronto, per colpa del quale l’errore e il tradimento dell’opera è sempre o quasi dietro l’angolo.


Forte però delle sue origini giapponesi, lo scrittore britannico conosce bene la storia e il grande cinema del Sol Levante, con il tradimento della tradizione che sembrerebbe essere l’ultimo dei suoi scopi.
Ishiguro collabora infatti attivamente con il regista Hermanus alla produzione del film al fine di realizzare uno spassionato omaggio alla monumentale opera di Kurosawa del 1952, arricchendo la pellicola di molti richiami a “Ikiru” – soprattutto nella predisposizione dei dettagli nella costruzione dell’immagine, da un’occhiata all’orologio ad un certo andamento di un’altalena – senza però mettere in scena una copia esatta. Oltre al nuovo adattamento a colori, “Living” è infatti abile innanzitutto nel spostare direttamente l’ambientazione del racconto, ma con molta cognizione di causa, con il 1952 che si presta perfettamente anche per l’anno di insediamento del Regno di Elisabetta II. Il film si incastra a dovere infatti nella Londra del post conflitto mondiale, che ancora continua ad accatastare le macerie della Guerra e per il quale occorre disperatamente l’azione dei pubblici uffici, sormontati dalle eccessive scartoffie burocratiche.


Con una morale di fondo che non conosce infatti limiti temporali o geografici, il rifacimento può reggere così su sé stesso e sulla figura del protagonista: un gentleman anziano e “zombie”, dalle origini irlandesi ma dai modi squisitamente biritish, vedovo da anni, con un figlio succube della moglie interessata solo alla prossima eredità e senza più uno stimolo vitale ma che decide, in punto di morte, di non sprecare gli ultimi attimi che rimangono a disposizione.
Ishiguro scrive un vero e proprio inno alla vita, moralistico, ricco di commozione e di intensa drammaticità, ma decide anche di non appesantire la visione di inutile pietismo e continuare a seguire/omaggiare l’opera che si sta affrontando. “Living” non si lascia infatti schiacciare dai toni neri ed esistenziali, ma riesce a tenere vivo un delicato ed intimo approccio umoristico, creando molta più empatia con il personaggio protagonista e lasciando un finale molto meno secco e spietato rispetto ad “Ikiru” (sebbene anche nel film di Hermanus si percepisca un forte e pessimistico senso di abbandono terminata la visione).

 

Recensione di Living: Bill Nighy è un dead man walking vivissimo ed emozionante

Oltre che dramma umanista, inno alla vita e alla vitalità, “Living” è dunque un vero e proprio remake: narra sostanzialmente la stessa storia del suo soggetto di appartenenza, con continui (mai fastidiosi) omaggi, pur sapendo riaddattare il racconto con nuove vesti visive e contestuali.


La regia di Hermanus poi scivola inutilmente in alcune occasioni (qualche controcampo sbagliato di troppo ad esempio), ma riesce ad alternarsi con interessanti stili di ripresa lungo l’arco dei 100 min supportati da un montaggio calzante. Un compito decisamente più che sufficiente per la direzione della fotografia di Jamie D. Ramsay – ben posata, capace di sapersi adattare al gioco luci/ombre specialmente negli interni e regalando un bellissimo e nevoso squarcio nel finale – con la visione che viene sostenuta dall’ottimo ed onnipresente requiem di Emilie Levienaise-Farrouch.


Senza nulla togliere al resto del cast – con le interpretazioni di Aimee Lou Wood (“Sex Education”), Alex Sharp (“Il processo ai Chicago 7”), Tom Burke (“Il Prodigio”) e Adrian Rawlins (il James Potter della saga di “Harry Potter”, ma anche “L’ora più buia”) – se lo spettatore uscirà emozionato dalla visione di “Living” sarà dovuto soprattutto per l’interpretazione dell’attore britannico Bill Nighy. Oltre 40 anni di carriera per un volto di grande spessore, che non è purtroppo mai riuscito ad ottenere il successo mediatico che avrebbe meritato, comparendo in singoli film come “Marigold Hotel” di John Madden o “Operazione Valchiria” di Bryan Singer, ma anche in molte saghe come i due capitoli di Edgar Wright sulla cosiddetta “Trilogia del Cornetto” (“Shaun of the Dead” e “Hot Fuzz”), o dove ha interpretato personaggi carismatici e di forte spessore come il potente vampiro Viktor nella saga di “Underworld” e soprattutto l’iconico Davy Jones in quella di “Pirati dei Caraibi”.


Aiutato dalla penna di Ishiguro nella scrittura composta e raffinata del suo personaggio, nella sobrietà dei suoi 73 anni Bill Nighy interpreta qui – in doverosa ma pregna sottrazione – un altro “non morto”, vivissimo nel riuscire a trasmettere toccanti emozioni, eleganti sorrisi ed occhiate colme di tenerezza. Il personaggio di Mr Zombie infatti riesce a ben legarsi con gli altri due personaggi principali di “Living”: la giovane promessa che incarna il barlume di speranza che è il novizio Mr. Wakeling e la solarità e vitalità coinvolgente di Margaret Harris, capace di rendere allegro anche un grigio ufficio pubblico. L’interazione con gli altri personaggi diametralmente opposti concretizza il riflesso e il contrasto con quello di Mr. Williams, riuscendo ad ottimizzare i pensieri e il cuore del protagonista (molto efficaci sono anche le sequenze di gelo con il proprio figlio assente, per molti versi una giovinezza verso la quale il personaggio di Bill Nighy sente di essere pericolosamente vicino, ma dalla quale intende allontanarsi finché può).


Probabilmente la migliore prova della sua carriera che gli ha fatto ottenere una candidatura ai prossimi Golden Globe al Miglior Attore in un Film Drammatico, in attesa di chissà che altro per Bill Nighy.

Di seguito il trailer di Living, diretto da Olivier Hermanus.

Valutazione
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Gabriele Maccauro
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Bruno Santini
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