Articolo pubblicato il 4 Gennaio 2024 da Gabriele Maccauro
Continua la retrospettiva su Nicolas Winding Refn: dopo aver trattato i suoi primi quattro film – Pusher, Bleeder, Fear X e Pusher II: Sangue sulle mie Mani – è giunto il momento di parlare di Pusher 3: L’angelo della Morte, terzo ed ultimo capitolo della trilogia e, probabilmente, primo vero capolavoro del regista danese.
La trama di Pusher 3: L’Angelo della Morte, il quinto film di Nicolas Winding Refn
Come al solito, almeno fino a questo punto della sua carriera, la trama dei film di Nicolas Winding Refn è piuttosto semplice, ma è anche il punto da cui partire prima della recensione del film. Pusher 3: L’angelo della Morte, terzo ed ultimo capitolo della trilogia iniziata nel 1996, segue la storia di Milo – lo spacciatore co-protagonista del primo capitolo di Pusher – che ha iniziato a seguire un gruppo di sostegno per tossicodipendenti ma che, nel giorno del 25esimo compleanno dell’amata figlia, per cui si è offerto di cucinare per oltre 50 invitati e di gestire l’organizzazione dell’intera serata, se la deve vedere con alcuni giovani immigrati albanesi che vogliono prendere il suo posto: Milo infatti, nonostante tutto, resta uno dei più importanti boss della droga di Copenaghen. Se da un lato abbiamo infatti un uomo che festeggia sua figlia e va a degli incontri per tossicodipendenti, dall’altro deve fronteggiare chi vuole rubare il potere e la leadership che si è costruito nel tempo, oltre al dove gestire lo smercio di Ecstasy, droga da lui mai trattata prima.

La recensione di Pusher 3: L’angelo della Morte, l’uomo e le sue contraddizioni nel primo capolavoro di Nicolas Winding Refn
Come raccontato nei precedenti articoli di questa retrospettiva, Nicolas Winding Refn arriva a girare questo film dopo il grande flop di Bleeder e Fear X e, considerando il successo e l’affermazione ad assoluto cult che col tempo ha avuto il primo Pusher, la decisione di tornare in quel mondo sembrò più che scontata. La realizzazione di Pusher II: Sangue sulle mie Mani e di questo Pusher 3: L’angelo della Morte però, non è data solamente dalla necessità di fare cassa, ma ha rappresentato anche una sorta di cura per lo stesso Refn che, per via di questi ultimi insuccessi, era pieno di preoccupazioni e dubbi, tutti elementi che ha poi riportato nei suoi film. Se Pusher II: Sangue sulle mie Mani era un buonissimo film, che allargava l’universo di Pusher e si concentrava su elementi diversi e più introspettivi, Pusher 3: L’angelo della Morte sembra invece rappresentare una summa dei due film: dal primo film prende indubbiamente la cruda ed estrema violenza, mentre dal secondo prende il lato psicologico e l’approfondimento del suo protagonista cosa che, a dirla tutta, Refn aveva iniziato a fare già da Fear X.
Pusher 3: L’angelo della Morte è in tutto e per tutto un enorme passo avanti per un Refn che sta affinando sempre di più la sua tecnica ed il suo stile e che, soprattutto, sembra stia imparando a fondere le due cose dandogli poi un taglio prettamente autoriale. Questo terzo capitolo di Pusher ha infatti una struttura molto più solida rispetto ai suoi lavori precedenti, con una spina dorsale data dal compleanno della figlia di Milo che dà l’impressione che la narrazione possa essere lineare, ma che invece permette a Refn di andare dove vuole con la stessa, entrando ed uscendo da dove si svolge la festa per realizzare quelli che potrebbero sembrare intermezzi ma che intermezzi non sono, perché è il compleanno stesso a rappresentare una sorta di Macguffin del film e l’eccezionale montaggio – fino a questo momento, da questo punto di vista, è senza dubbio il suo miglior lavoro – che scandisce perfettamente i tempi ed i ritmi della narrazione e dei diversi eventi che hanno luogo nella pellicola.
Come detto, Refn arriva a questo film e dunque al 2005 con più dubbi che certezze, ma li mette in scena e fa sì che l’opera diventi una sorta di terapia, come lo è per Milo andare alle sedute per tossicodipendenti, come a sottolineare che il cinema sia per Nicolas Winding Refn esattamente questo: una droga. Egli non può farne a meno, cerca di realizzare i film che desidera e si trova messo il bastone fra le ruote per via del flop di Bleeder e Fear X eppure, nonostante la necessità lo faccia tuffare nuovamente nel mondo di Pusher, lui ne cambia il registro e realizza i film che desidera, solamente all’interno di quell’universo. Pusher3: L’angelo della Morte è esattamente questo, ovvero una terapia per Refn, che ci parla dell’uomo e delle contraddizioni che lo affliggono, di come Milo vorrebbe essere un uomo migliore (organizza il compleanno della figlia e vuole cucinare per tutti gli ospiti), ma il suo passato torna prepotentemente e la sua natura tenta di ritirarlo all’interno di un mondo che pare non appartenergli più, o almeno così crede, visto che la natura è insita in lui e non la si può eliminare ma solamente, nel caso, domare. Dunque Milo deve vedersela con lo spaccio di una droga mai trattata prima, con giovani immigrati che vogliono rubargli il ruolo di boss di Copenaghen quando lui poi, alla fin fine, vorrebbe occuparsi di altre cose, della sua famiglia e di se stesso.
Come detto, Milo vorrebbe occuparsi di se stesso. Non è così usuale vedere opere in cui il protagonista, colui che dovremmo definire un cattivo o villain, viene psicanalizzato: lo abbiamo visto nella serie tv I Soprano, magari nel cinema di Martin Scorsese ed in pochi altri casi, ma di certo uno spettatore non se lo aspetterebbe da un film di Pusher, considerando anche il fatto che, a differenza delle opere citate, Pusher 3: L’angelo della Morte è un film estremamente violento. Refn arriva dunque ad un punto fondamentale della sua carriera, torna a fare buoni incassi e risultati positivi di pubblico e critica, realizzando sì nuovi Pusher ma, in realtà, facendo i film che desidera. Adesso sembra tutto pronto per un salto di qualità, con il rischio di un nuovo fiasco ma con la consapevolezza da parte dell’autore che l’unico modo per stare bene è quello di realizzare il film che egli desidera, senza impedimenti di sorta. Ed è così che, tre anni più tardi, si arriverà alla realizzazione di Bronson.