Articolo pubblicato il 9 Maggio 2023 da Bruno Santini
John McTiernan, al suo quinto lavoro da regista, torna nella fitta e calda giungla con un ritrovato Sean Connery per un film dal sapore romantico e dalla vena ecologista. Ecco la recensione di Mato Grosso, film del 1992 con il già citato Connery e Lorraine Bracco.
La trama di Mato Grosso
Rae Crane (Lorraine Bracco) è una ricercatrice americana inviata da una grossa casa farmaceutica per scovare Robert Campbell (Sean Connery), medico-scienziato ritiratosi a vita privata in un villaggio di indios nella fitta foresta del Mato Grosso, uno stato del Brasile centrale. Grazie alle sue cure miracolose, la tribù che da asilo a Campbell ha attribuito a quest’ultimo il nome di “uomo medicina”, di fatto considerando Robert come un taumaturgo soppiantando lo sciamano del villaggio. Il rapporto tra Crane e Campbell, inizialmente, è teso e nervoso: lei brillante donna in carriera, lui disilluso dalla vita. Tuttavia il loro preliminare astio muta radicalmente in una collaborazione, Campbell rivela di aver trovato una cura per il flagello del secolo: il cancro.

La recensione di Mato Grosso
Il quinto film del newyorkese John McTiernan, uscito nel 1992, è anche la seconda collaborazione dell’autore con il leggendario Sean Connery dopo il buon successo di pubblica e critica di Caccia a Ottobre Rosso, uscito due anni prima. L’aplomb dell’indimenticabile attore scozzese ben si sposa con lo stile registico di McTiernan, sempre così ordinato e pulito nella fruizione dei prodotti, un perfetto sarto per un ottimo vestito su misura. Tuttavia non basta la tecnica registica per salvare Mato Grosso dal baratro.
McTiernan, dopo l’esperienza di Predator, torna nella giungla del centroamerica (cammuffandola per quella brasiliana) per dirigere un film che fatica ad avere un’identità ben precisa.
Non un difetto di forma, bensì di sostanza: la sceneggiatura firmata da Tom Schulman (premio Oscar per L’attimo fuggente nel 1990) abbraccia più generi, creando confusione in un soggetto (sempre ad opera di Shulman) già di per sé nemmeno troppo convincente che non sfrutta appieno le potenzialità del grande Sean Connery che, di contro, ce la mette sempre tutta per portare a casa il risultato. Mato Grosso è una sorta di grande e grosso mostro di Frankenstein: vuole essere una commedia romantica ma la chimica tra Connery e l’insopportabile Lorraine Bracco (premiata giustamente con un Razzie Award per questa performance) fatica a decollare, trovando debolmente spazio solo nel finale. Vuole essere un film ambientalista ed ecologista ma le tematiche qui elencate non hanno lo spazio necessario per avere la forza di sostenere un’idea mal sfruttata e poco concreta, risultando appiccicate con lo sputo senza un minimo di senso logico, uscendone anche con le ossa rotte se paragonato ad altri film di genere (come lo splendido Gorilla nella nebbia del 1988 con Sigourney Weaver). Vuole essere un film sulla scienza e sulla ricerca e, probabilmente, è la tematica che rimane più marcata rispetto alle precedenti ma anche in questo caso il tutto viene appena accennato con pochi approfondimenti se non un paio di dialoghi tra i due protagonisti.
A salvare il salvabile ci pensa la tecnica registica di John McTiernan che sa perfettamente dove piazzare la macchina da presa per esaltare i volti degli attori e le magnifiche ambientazioni che fanno da sfondo alla vicenda. Sean Connery, inoltre, regge sulle sue gargantuesche spalle tutto il peso di un film tutto sommato debole e innocuo, il carisma dell’attore scozzese fa sì che McTiernan riesca a portare a termine un compito ingrato, quello di dirigere un prodotto che non è un film bensì un patchwork di tematiche poco amalgamate tra di loro. Lorraine Bracco, già vista in Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese, non riesce a reggere lo schermo con un gigante come Connery, il suo personaggio non sarebbe nemmeno scritto male ma l’interpretazione dell’attrice risulta forzata, in alcuni frangenti persino in palese overacting (come nella scena dell’amaca davanti al falò). Una lacuna non da poco, con una sceneggiatura debole si doveva far leva sulla bravura degli attori, ma la forza lavoro diventa risoluta quando si hanno due braccia robuste a disposizione. Con un braccio solo (in questo caso, Connery) si fa fatica a portare a compimento la giornata, nonostante un ottimo cervello (McTiernan) a dirigere i lavori.

Mato Grosso: il primo passo falso di John McTiernan
Non bastano il talento recitativo dell’ex James Bond e il bagaglio tecnico del regista di Predator per salvare Mato Grosso dall’oblio. Il quinto film di John McTiernan risulta (finora) il più debole della carriera dell’autore americano, un prodotto quasi fatto su commissione che non spicca in nessun campo. Bello da vedere, brutto da ascoltare: Mato Grosso (in originale Medicine Man) è un polpettone di tematiche mischiate tra loro con nessuna di esse che prevale sulle altre. Il risultato quindi diventa soltanto uno per lo spettatore: la noia accompagnata da una bella compilation di sbadigli in quello che è, a tutti gli effetti, il primo vero passo falso del regista newyorkese.