Recensione – Animali Selvatici: il nuovo film di Cristian Mungiu presentato al Festival di Cannes

La recensione di Animali Selvatici, il nuovo film di Cristian Mungiu presentato in anteprima a Cannes75.
Animali Selvatici, il nuovo film di Cristian Mungiu

Articolo pubblicato il 4 Gennaio 2024 da Gabriele Maccauro

Dopo aver vinto la Palma d’Oro nel 2007 con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, il Prix du Scenario per la Miglior Sceneggiatura ed il Prix d’Interpretation Feminine con Cosmina Stratan e Cristina Flutur per Oltre le Colline ed il Prix de la Mise en Scene per la Miglior Regia di Un Padre, Una Figlia, con il suo ultimo film Cristian Mungiu è tornato sulla Croisette in occasione della 75esima edizione del Festival di Cannes con Animali Selvatici (R.M.N.), nelle sale italiane a partire dal 6 luglio 2023 grazie a BiM Distribuzione. Di seguito, ecco trama e recensione dell’ultimo film del regista rumeno.

La trama di Animali Selvatici, il nuovo film di Cristian Mungiu

Prima di andare ad analizzare Animali Selvatici (R.M.N.) – l’ultimo film di Cristian Mungiu presentato al 75esimo Festival di Cannes – è bene spendere alcune parole sulla trama del film: pochi giorni prima di Natale Matthias, che lavora in Germania, aggredisce un suo collega e, prima che possano rintracciarlo, fugge e torna nel suo paese d’origine, in Transilvania, dove ha lasciato Ana e suo figlio Rudi che, dopo aver visto qualcosa nella foresta mentre andava a scuola, è rimasto sotto shock e non parla più. Allo stesso tempo, Matthias deve vedersela con i problemi di salute di suo padre Otto e con Csilla, sua amante ed importante dirigente di un panificio locale. Dopo aver rifiutato un posto di lavoro, lo stesso panificio decide di assumere tre uomini provenienti dallo Sri Lanka, avvenimento che porterà ad un effetto domino che investirà l’intero paese, fino ad un finale di rara potenza.

Animali Selvatici, il nuovo film di Cristian Mungiu

Da Rodrigo Sorogoyen a Cristian Mungiu: quali sono gli animali? Una riflessione sulla natura umana e su un razzismo manifesto

Nel 1974 veniva distribuito uno dei film più importanti nella storia del cinema italiano e non, Il Portiere di Notte con cui Liliana Cavani rifletteva in maniera acuta sull’Europa, in quel caso rappresentata simbolicamente dall’Hotel Der Oper di Vienna. Sono passati quasi 50 anni da quel film eppure, come si sa, la storia è ciclica e determinate tematiche sembrano davvero impossibili da estirpare. Non è un caso che nel 2022 siano usciti due film eccezionali come As Bestas di Rodrigo Sorogoyen (in Italia dal 13 aprile 2023) e Animali Selvatici di Cristian Mungiu (nelle sale italiane a partire dal 6 luglio 2023): un regista spagnolo ed uno rumeno, con due carriere diverse ma che, con questi due film, trovano un punto d’incontro decisivo. Perché, alla fin fine, i due film parlano della stessa cosa: la realtà di un piccolo paese europeo, lontano dalla grande metropoli, i cui – pochi – abitanti sentono la propria realtà minacciato dallo straniero, dall’immigrato, da chi non appartiene al loro stesso mondo. Evidentemente però, come ci raccontano i due registi, questa natura ha radici profonde e si fonda su un concetto che, ancora oggi, appare ancora ben radicato nella cultura di molti: ovviamente si parla di razzismo.

 

Cristian Mungiu, per la prima volta nella sua carriera non si concentra su un singolo personaggio, ma su un collettivo, un’opera corale che trova massima espressione nel meraviglioso piano sequenza dell’assemblea, dove ad essere protagonista è l’intera popolazione del paese. Una scena incredibile in cui il regista dà libero sfogo al pensiero di tutti, mettendo a fuoco o fuori fuoco a seconda di chi parla e su chi desidera ricada l’attenzione, nonostante lo spettatore possa spaziare ed osservare chiunque desideri e la reazione che hanno alle parole degli altri. I paesani si lamentano dell’assunzione di tre uomini dello Sri Lanka – alle volte chiamati filippini, alle volte cinesi, come se gli asiatici fossero tutti uguali tra loro – da parte del panificio in cui lavora Csilla, perché “ci vengono a rubare il lavoro“, mentre molti di loro sottolineano come non siano razzisti, ma i tre potrebbero benissimo fare quello che vogliono nel loro paese. Il classico discorso da “non sono razzista ma” che chiunque avrà sentito fare almeno una volta. Eppure a Matthias era stato offerto quel posto di lavoro, ma lo ha rifiutato. Eppure Matthias, che è dovuto fuggire dalla Germania dopo aver aggredito un collega che lo aveva chiamato zingaro, torna a casa sua e si lamenta della presenza di quelli che lui stesso considera zingari. Eppure il suo stesso paese – come l’intera Romania e come tante altre realtà europee – è un condensato di diverse etnie, lingue, religioni e culture, come si evince dalla stessa scena dell’assemblea, in cui alle volte si parla in rumeno, alle volte in un dialetto che non tutti conoscono. Dunque perché non prendersela con loro? Evidentemente, perché a parlare quel dialetto sono persone che vivono lì da sempre e che vengono considerate del posto. Persone conosciute, non stranieri, dunque a far paura non è altro che l’ignoto, ciò che non si conosce e che, istintivamente, si ritiene possa intaccare la propria vita. Ci si fa dunque muovere da un istinto animalesco.

 

Come in As Bestas vi è una sorta di parallelismo tra le persone ed i cavalli, qui vi è con gli orsi: non ci si fida di chi è esterno, di chi viene da fuori, di chi non si conosce, lo si ritiene pericoloso e si reagisce proprio come degli animali selvatici, randagi, sbraitando, colpendo, uccidendo. Come in As Bestas, soprattutto dalla seconda parte del film, la protagonista diventa Olga (donna, madre, moglie) che non si arrende e continua la ricerca del marito in un paese in cui non è ben accetta, in Animali Selvatici, in contrapposizione a questo mondo di uomini, vi è la stessa Csilla, che assume ed accoglie gli uomini dello Sri Lanka e risponde a tono a Matthias ed all’intero paese. In entrambi i casi però, forse, ciò non è abbastanza. Non è abbastanza perché rappresentano mosche bianche, piccole eccezioni che non possono bastare per estirpare le malerbe di cui si parlava in precedenza. Serve una coscienza collettiva, serve che tutti remino nella stessa direzione e ciò, nel 1974 come nel 2023, sembra essere ancora estremamente difficile.

 

Come Sorogoyen però, anche Mungiu non si arrende. Non ci si può arrendere davanti ad una situazione del genere ed in entrambi i film vi sono elementi di tenerezza, addirittura amore, un sentimento che sembra quasi impossibile da poter provare in un mondo del genere. Oltre all’amore di Ana per Rudi, l’elemento che Cristian Mungiu decide di utilizzare è la musica, un po’ come fatto anche, per esempio ne Il Pianista di Roman Polanski. Ci sono due temi fondamentali all’interno del film: innanzitutto la Danza Ungherese n.5 di Johannes Brahms, un tedesco che omaggia l’Ungheria e gli ungheresi – molto presenti in Romania – e che proprio in Transilvania fece uno storico tour nel 1879 ma, ancor più, con Yumeji’s Theme, il brano scritto da Shigeru Umebayashi per la colonna sonora di quel capolavoro di In the Mood for Love. Sembra infatti esserci un parallelismo tra l’amore dei due protagonisti del film di Wong Kar-wai e quello tra Matthias e Csilla. Due amori nascosti ma che, se nel caso del film del 2000 non è mai esplicitato e si fonda su una delicatezza e dolcezza incredibili e con un racconto tramite immagini e tramite il non detto, in Animali Selvatici invece si consuma, si evidenzia e si mostrano corpi nudi, nascondendo però una violenza, non nell’atto quanto nelle intenzioni, nell’atteggiamento di Matthias ed in quello a cui poi ciò porterà. Scelte che non possono risultare banali e scontate, scelte importanti che Cristian Mungiu prende per dimostrare che, nonostante sia difficilissimo estirpare queste malerbe, non è impossibile, non può esserlo e non si può smettere di lottare, mai.

Voto:
4.5/5
Alessio Minorenti
4/5
Riccardo Marchese
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