Articolo pubblicato il 13 Aprile 2022 da wp_13928789
E’ approdato su “Prime Video”, dal sette Gennaio, il nuovo film di George Clooney : “Il Bar delle grandi speranze”, seppur sia molto più conosciuto col titolo originale “The Tender Bar”.
L’ottava regia dell’attore americano si incentra sulla storia vera di J. R. Moehringer : giornalista e scrittore statunitense. Rifacendosi alle memorie dello stesso, si vuole raccontare la sua vita dagli anni Settanta, fino ai Novanta, da quando era un ragazzo con la passione per la letteratura col sogno di diventare scrittore, sino alla sua laurea all’università di Yale, e il coronamento di ciò che tanto desiderasse.
George Clooney, con equilibrio ed eleganza, dirige un film sobrio, che ci accompagni per tutto il corso della visione, alternando momenti del passato, con altri del presente, e facendoci fare la conoscenza dei tanti membri della famiglia, ognuno caratteristico.

Nel complesso il tutto risulta piacevole e godibile, seppur lo salvi con riserve, in quanto, a mio parere, si poteva analizzare molto meglio la psicologia del protagonista, ben interpretato da Tye Sheridan, e i chiari/scuri della sua esistenza, con un padre mai conosciuto, la paura di diventare un alcolista come lui, e la pressione di una madre che a tutti i costi voleva che si diplomasse a Yale.
Sembra che manchi un’analisi più accurata e tridimensionale della sofferenza del ragazzo, un po’sbrigativa, ma soprattutto della difficoltà di raggiungere determinati obiettivi, che il film ti mostra invece in maniera semplicistica e quasi scontata.
Clooney riesce a dirigere dignitosamente un cast ben nutrito, tra cui spicca un Ben Affleck bravissimo, ma meno a veicolare un messaggio di riscossa e di rivalsa, lasciando l’opera a girovagare su sé stessa, senza colpire e centrare il punto nei giusti momenti.
Manca il sentir la paura di non farcela del ragazzo, e la complessità nel raggiungere gli obiettivi prefissati. Il tema dell’alcolismo ereditario, e dei primi (e ultimi) incontri/scontri tra padre e figlio sarebbero dovuti essere sviluppati in maniera più realistica, intimistica, cruda, e talvolta cinica. Sembra invece che la sobrietà scenografica, di messa in scena, e di tecnica, non vada di pari passo con quella della narrazione.
Per passare una serata, non possiamo dire che sia un film non riuscito, ma nemmeno quel lungometraggio teso e forte, che sarebbe potuto essere.
Interessante come il vero “J.R.” compaia come produttore esecutivo, decidendo di contribuire a far conoscere la sua storia.
I momenti migliori della pellicola, a mio avviso, restano quelli fra il nostro protagonista, e suo zio Charlie, nel bar “Dickens”, in cui si parla di arte, romanzi, vita, ingiustizie, e sogni di gloria. Quasi ci dispiace quando da lì si esce abbandonando il personaggio di Affleck, perfetto nel ruolo. Penso che quest’ultimo si meriterebbe di essere riscoperto dal cinema internazionale, e non ricordato solo per presunti fallimenti.
Per concludere, che dire? Un Clooney un po’ adagiato sugli allori firma un film minore, imperfetto, impreciso, ma comunque diretto con cuore, a cui si può volere bene.
P.S. Quando riuscirà però a fare cinema “dalle grandi speranze”?
Paolo Innocenti
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