Un Eroe: Esegesi di un archetipo

Articolo pubblicato il 13 Aprile 2022 da wp_13928789

Naqsh-e Rostam è un antico sito archeologico situato a dodici kilometri da Persepoli, una delle cinque capitali dell’impero Achemenide, contenente le spoglie di alcuni Re che un tempo dominarono ampi territori dell’attuale Medio Oriente, ivi compreso l’Iran, tra i quali sono sepolti sovrani del calibro di Dario il Grande e Serse. Queste figure erano agli occhi dei loro sudditi degli Dei scesi in Terra, che si stagliavano dalla marmaglia rappresentata dai comuni mortali e che elevavano le loro gesta, più o meno memorabili, a veri e propri atti eroici. Ebbene non era possibile sollevare alcun dubbio circa la statura morale di questi personaggi e la loro soverchiante superiorità era eloquentemente espressa dalle ciclopiche dimensioni dei monumenti a loro dedicati. Il protagonista dell’ultima opera di Farhadi (Rahim), subito dopo essere uscito di prigione, si incammina verso questo immortale mausoleo e il piano lunghissimo che lo mette in relazione alla mastodontica parete di pietra riesce, con mirabile capacità di sintesi visiva, ad esprimere l’inadeguatezza di questo uomo (quasi) del tutto solo nei confronti dei social media, Moloch invincibili e intangibili della società moderna. Già solo questo incipit vale ampiamente il prezzo del biglietto.

Lo spunto narrativo su cui si basa la trama del film è il seguente: Rahim Soltani è in prigione, a causa di un debito che non può onorare nei confronti dell’ex cognato, ma un giorno, in modo quasi provvidenziale, Farkhondeh (la sua nuova compagna) trova ad una stazione dell’autobus una borsa piena di monete d’oro; Rahim inizialmente tenta di venderle ad un gioielliere, tuttavia, a causa di circostanze fortuite (interpretate dal protagonista come segni del destino), l’affare non va buon fine e così Rahim si mette alla ricerca del legittimo proprietario della borsa, riuscendo infine a trovarlo e a compiere agli occhi della società iraniana un vero e proprio atto eroico.

Partendo da questa premessa Farhadi, come soltanto l’ultimo Eastwood sul fronte statunitense è stato in grado di fare, porta avanti una spietata e lucida analisi del sistema mediatico contemporaneo, adoperando una moltiplicazione dei punti di vista e delle opinioni riguardo ogni singolo avvenimento talmente prolifica da far addirittura dubitare lo spettatore dello statuto di verità delle immagini che ci vengono mostrate a schermo, continuamente reinterpretate, rianalizzate e vivisezionate fino allo sfinimento. Tutto questo processo avviene tramite l’unica lente attraverso la quale i fatti sono analizzati nella nostra società mediatica: la cultura del sospetto. Farhadi compie un gesto politico e cinematografico molto netto realizzando questa pellicola. Infatti anche sotto il secondo aspetto è giusto sottolineare come la negazione del concetto archetipico dell’eroe avvenga in un contesto nel quale la figura del SuperEroe sembra essere l’unica a riuscire a riscuotere l’interesse di un pubblico che invece nella realtà ha ripudiato in toto questo ideale. L’altro fronte infatti sul quale ci invita a ragionare questa pellicola ha una rilevanza prettamente sociale: affinché possano esistere eroi o esempi da seguire bisogna accettare un fondamentale compromesso, ovvero la parziale sospensione del giudizio critico riguardo l’evento che stiamo osservando. Se infatti si pretende di ricostruire precise strutture di rapporti causa-effetto o di approfondire le intime motivazioni che spingono il succitato eroe a compiere le sue proverbiali imprese, l’effetto sarà soltanto quello di subire una cocente e immancabile delusione. Per accettare una figura come quella dell’eroe bisogna dunque mantenere dei gradi di separazioni, compiere un processo di idealizzazione e dimensionare questo in proporzione ai valori che si vuole esso racchiuda (vedasi i monumenti all’inizio del film).

Assolutamente puntuale anche il modo in cui Farhadi evidenzia come nel mondo in cui viviamo gli enti pubblici o le società di natura privata non siano nella maniera più assoluta interessate a perseguire strade che abbiano come obiettivo quello del raggiungimento della verità e come a pilotare e influenzare questa baraonda mediatica sia un elemento, che il regista iraniano decide abilmente di lasciare fuori-campo, ossia quello dei social-media. Essere gettati in questo inesorabile agone non può che portare chiunque a finire per perdere qualsiasi punto di riferimento e a smarrire ogni appiglio alla realtà che diventa un simulacro inservibile ai fini di una qualsivoglia ricerca della verità; infatti l’infinita sovrapposizione di punti di vista ed opinioni ha l’unica funzione di creare effetti valanga, che inesorabilmente travolgono l’individuo come una zattera risucchiata in una tempesta ed azzerano l’empatia nei suoi confronti.

Gli innumerevoli pregi di questa sublime opera non si esauriscono qui e solo la sua visione può far comprendere fino in fondo il magistrale modo in cui il regista iraniano non esprime giudizi morali nei confronti di nessuno dei personaggi coinvolti, tratteggia abilmente ogni singolo comprimario e architetta un maelstrom di ansia, paranoia e disperazione dal quale è impossibile sfuggire. Gli albori di questo 2022 ci hanno già regalato un’opera che è destinata perdurare nel tempo.

Alessio Minorenti

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