Lo chiamavano Trinità: La nascita del mito

Articolo pubblicato il 19 Marzo 2022 da wp_13928789

Bud Spencer e Terence Hill sono stati senza ombra di dubbio una delle coppie più iconiche della storia del cinema italiano, estendendo la propria fama anche ben oltre i confini della penisola. Il loro cinema, nel bene o nel male, ha accompagnato generazioni su generazioni, senza particolari pretese autoriali o da grande Blockbuster, ma offrendo sempre un intrattenimento sano e, con tutti i suoi limiti, di qualità. C’è però un film che ha dato il via al tutto e, probabilmente, resta il migliore per distacco di tutte le 18 pellicole in cui hanno recitato assieme: “Lo chiamavano Trinità…”

Era il 1970, l’era degli spaghetti Western che aveva monopolizzato il cinema italiano degli anni ‘60 stava volgendo al termine e il genere stava esplorando diverse derivazioni. Tra queste quella che stava prendendo più piede era la commedia. La rivisitazione delle tematiche tipiche del Western all’Italiana, in chiave più o meno comica e parodizzata, senza quel velo di serietà e tragicità che aveva sempre avvolto le pellicole di Leone e Corbucci. Di questo nuovo filone “Lo chiamavano Trinità…” sarà l’esempio più noto, di successo e per questo il più imitato, in una dinamica molto simile a quella che si innescò con “Per un pugno di dollari”.

Alla regia Enzo Barboni con lo pseudonimo di E. B. Clucher, seguendo la moda di inglesizzare il proprio nome, tipica del cinema di “serie b” dell’epoca, d’altro canto dientro Bud Spencer e Terence Hill si celano gli italianissimi Carlo Pedersoli e Mario Girotti.

Il film segue le avventure del girovago Trinità (Hill), pistolero più veloce del West nullafacente ma dal cuore d’oro, e di suo fratello, un ladro di cavalli con il volto e il fisico di Bud Spencer ironicamente chiamato “Bambino”. Quest’ultimo, fintosi sceriffo di una cittadina per mettere in piedi uno dei suoi colpi, dovrà suo malgrado ricorrere all’aiuto del suo poco amato parente per mettere nel sacco e derubare il perfido e potente Maggiore Harriman. Non mancheranno però sorprese, imprevisti e una infatuazione di troppo a sparigliare le carte e rendere la vita più complicata del previsto alla strana coppia di fratelli.

La sceneggiatura, di base, parte da un soggetto che poteva benissimo andar bene per uno dei tanti spaghetti western più seriosi a cui quasi un decennio di cinema italiano ci aveva abituato ma saranno la messa in scena, i dialoghi e l’incredibile presenza comica del celebre duo a portare la pellicola su altri lidi dando vita a quello che sarà poi ironicamente denominato “Fagioli Western”. Barboni di per se non gira una commedia, tutto è come dovrebbe essere: la polvere, le pistole, i cavalli, i costumi, le scenografie. Il grande potenziale comico è però nel sottotesto, nei dettagli: in quella mucca inspiegabilmente sul tetto, in quel coltello per estrarre una pallottola prima disinfettato con l’alcol e poi asciugato sulla maglia polverosa, in quella padella di fagioli. Si è di fronte a un Western, ma da subito capiamo che qualcosa non quadra, che gli elementi del genere ci sono tutti, ma non sono presentati nel modo in cui eravamo abituati. Brillanti i dialoghi, ricchi di ironia e di battute iconiche sin dal primo ascolto, anche questi perfettamente bilanciati tra realismo e parodia. Ottima la colonna sonora, di cui spicca la canzone di apertura cantata da Annibale Giannarelli, non a caso usata da Quentin Tarantino per chiudere il suo “Django Unchained”. Iconici i volti dei caratteristi che condividono la scena con i due mattatori. Perfetta l’alchimia tra Bud Spencer e Terence Hill che, pur avendo già lavorato assieme in una veste più seriosa in precedenti pellicole western, qui si consacrano a tutti gli effetti come coppia fissa del grande schermo.

“Emiliano dice tutto, Gringo!”

E poi! Quei ceffoni! Quegli indimenticabili ceffoni! La nascita di un genere nel genere sancita da uno schiaffo a mano aperta e da un cazzottone sulla testa. È lo splapstick che incontra l’azione, la pantomima che incontra il Western. Il sonoro che li accompagna, i movimenti, le reazioni. Tutto è esagerato, tutto è paralizzato, tutto è incredibilmente inedito. Quella che di base è una goliardata cinematografica, buffonesca e sopra le righe diventa un indelebile marchio di fabbrica che caratterizzerà tutta la filmografia del duo negli anni a venire rendendoli immortali. I film di Bud Spencer e Terence Hill sono senza dubbio modesti e di poche pretese ma hanno saputo ritagliarsi una fetta importante nel cuore di tutti noi, intrattenendo milioni di persone, e tutto è iniziato da qui, da “Lo chiamavano Trinità…”, questo sì un capolavoro, che ha portato alla nascita di un mito!

– Carlo Iarossi