Articolo pubblicato il 6 Aprile 2022 da wp_13928789
*Recensione con spoiler*
La più infida delle illusioni, la più sfacciata delle bugie e infine la triste epigrafe che sovrasta il corpo senza di vita di Tony Montana crivellato di colpi alla fine dello “Scarface” di Brian De Palma è rappresentata dal distillato tossico di ciò che fu il sogno americano: “The world is yours”.
L’America anni 80 che decideva di chiudere gli occhi di fronte ai lancinanti conflitti sociali, alle crescenti disuguaglianze economiche e a una società che di lì a trent’anni avrebbe aumentato a dismisura l’isolamento dell’individuo, esacerbandone l’indifferenza verso il prossimo (come meravigliosamente raccontato ad esempio da tutti i film di Michael Mann), era tuttavia una nazione che nonostante tutto questo cercava di mantenere coesione e speranza nell’avvenire.
La morte di Ashtray nell’ultima puntata di questa seconda stagione di Euphoria è paradigmatica per la comprensione di come questo processo di inabissamento sociale abbia raggiunto negli Stati Uniti, almeno per alcuni strati della popolazione, profondità prima inimmaginabili. Ashtray non scorge mai nemmeno uno spiraglio che possa significare una via di fuga per lui; come un animale in gabbia ripete compulsivamente le stesse azioni, senza alcuna prospettiva futura, peritandosi solo che nessuno si accorga della sua esistenza. Se Tony Montana voleva essere notato, avere una bella donna (non importa se depressa), essere rispettato e soltanto una volta raggiunto l’apice cadeva rovinosamente, tutto ciò a cui aspira il personaggio di Euphoria è la monotonia, non ha pulsioni, aspirazioni o sogni da realizzare o soddisfare, ciò a cui anela è la sopravvivenza. Ecco dunque che quel poster di “Scarface” in bella mostra sulla parete (che aveva permesso a Levison di adottare il registro gangster in uno dei più bei incipit della serie) non si rivela altro che uno sbiadito vessillo di un’epoca andata, le cui gesta vengono tramandate pur essendo irriproducibili, rendendo gli emuli di queste maschere di una triste farsa.

Lo stesso Fezco che fin dalla scorsa puntata entusiasticamente si apprestava ad assistere allo spettacolo teatrale di Lexi, con l’intenzione poi di aprirle il suo cuore, si deve arrendere all’ineluttabilità della riemersione delle colpe passate, unica vera legge a cui tutti i personaggi di Euphoria devono soggiacere. Ci si può pentire, si può migliorare, ci si può persino redimere ma alla fine il passato bussa sempre alla porta e in questa puntata la mano tramite cui opera sono le forze dell’ordine, che in un caso ammanettano Cal dopo che Nate consegna i video in cui il padre consuma rapporti sessuali con minorenni e nell’altro arrestano Fezco (inutilmente martire) e uccidono Ashtray.
L’unica via che Levinson sembra indicare per affrontare i propri demoni è quella della rielaborazione artistica intrapresa da Lexi. Anche in questo caso però il processo non si rivela indolore e il sottile limite tra finzione e riproduzione della realtà viene più volte valicato dalla messa in scena teatrale, suscitando a seconda dei casi reazioni scomposte e addirittura violente (Cassie e Nate) oppure profonda commozione e raggiungimento di una (temporanea?) pace interiore.
A questo punto lo spettacolo che prende vita sul palcoscenico assume la forma di un caleidoscopio emotivo in grado di comunicare mediante un’ampia gamma di luci ad ogni membro della platea e a noi spettatori in modi sempre diversi.

E’ necessario infine riflettere riguardo ciò che questo finale ha significato per Rue e per la sua stabilità emotiva sempre a repentaglio. Se nel finale della prima stagione la lasciavamo completamente a pezzi e avente come unico scoglio a cui aggrapparsi il rapporto con Jules, dopo una serie di indicibili sofferenze, che la hanno quasi condotta alla morte, è riuscita ad ottenere in qualche misura un’autarchia che la ha portata finalmente ad analizzare i suoi rapporti sociali non da una situazione di bisogno estremo, ma da una di parziale autoconsapevolezza. Questo status per il personaggio è completamente inedito e potrebbe portare, se Levinson continuerà ad adottare l’espediente del voice-over anche nella terza stagione, a ripercussioni non solo narrative ma anche stilistiche su tutta la serie. Non possiamo sapere se Rue manterrà questa stabilità e continuerà a coltivare questo amor proprio a lungo ma sicuramente ha toccato il fondo e un’ulteriore discesa potrebbe rivelarsi definitiva. Difficile anche capire se il liquidare l’amore con Jules come una fiamma adolescenziale sia frutto di un ragionamento maturo condotto con estrema lucidità o di un desiderio compulsivo di allontanarsi da tutti coloro che le ricordano il suo periodo più buio, con il rischio di sprofondare nuovamente nella solitudine, seme di molti mali.
Come già scritto precedentemente Euphoria è stata rinnovata per una terza stagione e le prospettive e ramificazioni che la serie può imboccare sembrano innumerevoli, confidiamo che Levinson sappia scartare abilmente le più banali.
P.S. Come anche specificato da Zendaya sui suoi social la visione di questa serie è consigliata ad un pubblico adulto e in grado di sostenere la trattazione cruda di tematiche quali la dipendenza da stupefacenti e la depressione, il consiglio è di tenersene alla larga se si è particolarmente suscettibili in tal senso.
–Alessio Minorenti