Articolo pubblicato il 2 Agosto 2023 da Bruno Santini
Incluso all’interno della piattaforma di streaming di Netflix a partire dal mese di agosto 2023, Paprika è un film di Satoshi Kon del 2006, presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia 2006 e uscito nelle sale cinematografiche a partire dall’anno successivo. Il capolavoro del regista, sceneggiatore, fumettista e character designer giapponese, è stato in grado non soltanto di ottenere un grandissimo successo tanto mediatico quanto critico, ma anche di ispirare la storia del cinema successiva, come rappresentato dall’ispirazione che ha permesso, a Christopher Nolan, di attingere a piene mani dal film di Kon per la realizzazione del suo Inception. Di seguito, la trama e la recensione di Paprika.
La trama di Paprika, il capolavoro di Satoshi Kon
Prima di proseguire con la recensione di Paprika, il capolavoro di Satoshi Kon, si indica innanzitutto la sua trama. Di seguito, la sinossi del film in questione: “Paprika – Sognando un sogno, film d’animazione scritto, disegnato e diretto da Satoshi Kon, vede protagonista la dottoressa Atsuko Chiba, una psicoanalista alle prese con una nuova invenzione super tecnologica. Si tratta di uno strumento chiamato DC Mini che consente ai medici di introdursi nei sogni dei pazienti per aiutarli ad affrontare e curare le loro patologie. Nonostante i protocolli non siano ancora ufficiali, la donna inizia a servirsi di queste apparecchiature fuori dai laboratori nei quali fa ricerca e comincia a entrare nel subconscio delle persone con un alter ego, detto Paprika.La prima persona che aiuta è il detective Toshimi Konakawa, che non riesce a liberarsi di un incubo. Terminata la seduta, la donna gli da un biglietto con sopra scritto un indirizzo web. Nel frattempo il direttore Toratarō Shima scopre che tre DC Mini sono stati rubati. Prima che riesca a denunciare l’accaduto, però, avviene qualcosa di veramente insolito: l’uomo comincia a farfugliare qualcosa in maniera euforica e poi si getta dalla finestra. La caduta non gli provoca la morte però lo lascia in coma, consentendo alla sua squadra di analizzare la sua psiche proprio attraverso i loro macchinari. Che cosa troveranno nel suo subconscio?”

La recensione di Paprika, il film di Satoshi Kon su Netflix
È davvero difficile descrivere in poche parole un film come Paprika, pur dovendo inevitabilmente seguire un percorso di recensione che a cui il film, per sua struttura e impostazione, sembra opporsi. Uno spunto interessante può essere offerto dal titolo con cui il film è stato presentato in Italia: Paprika – Sognando un sogno. Il tema dell’onirico è, a tutti gli effetti, la cornice di un film che non vuole basarsi su una solida struttura ma che si rifugia nella malleabilità di scelte stilistiche, oltre che narrative, inglobate nella macro-area generale del sogno. La fase REM è quella in cui l’essere umano produce sogni, con una frequenza differente a seconda dell’intensità della stessa: allo stesso tempo, si tratta dell’espediente che garantisce l’intervento dei DC Mini, dispositivi che hanno l’obiettivo di dare una nuova prospettiva alla neuropsichiatria che si rivelano essere strumenti che, se posseduti da mani sbagliate, possono generare il collasso del mondo così come viene inteso.
In effetti, è ben nota agli amanti della filosofia quella considerazione (non originale nel film) che deriva dal mondo raccontato da Satoshi Kon: una realtà visibile solo ed esclusivamente attraverso gli occhi dell’osservatore, mai oggettivamente data e, per questo motivo, corruttibile a partire dalle sue fondamenta. La matrioska di Paprika non soltanto dimostra che non esiste confine che permetta di distinguere davvero il sogno e la realtà, ma avverte anche lo spettatore: esiste un “altro mondo”, un’alternativa possibile che esiste allo stesso modo di quella reale, in un delirio che la psicologia freudiana ha tentato di distinguere attraverso le accezioni di Es, Io e Super-Io. In quanto tale, Paprika non è tanto un saggio sulla psicologia, quanto un corollario delle sue conseguenze, un’osservazione acuta a proposito dell’inconsistenza del controllo e della sua pretesa. Ogni uomo, in quanto tale, è inevitabilmente il frutto di quella coscienza che viene sopita, e ad essa ritorna per mezzo di qualsiasi dispositivo (reale o non reale) possibile.
Un racconto a scatole cinesi che, per 90 minuti, non smette di impressionare il suo spettatore, anche grazie ad una potenza tanto estetica quanto sonora: Satoshi Kon si serve di scenografie vistose, di cromatismi eccentrici e di una colonna sonora spettacolare, caratterizzata soprattutto dal tema della Parata che sembra farsi più vivo e impetuoso scena dopo scena. La reale potenza di Paprika è la sua capacità di garantire quella costante immersione da parte di chi guarda, anche per mezzo di artifici ed espedienti estetici, distorcendo sempre più l’immagine e attraversando l’abisso con una potenza visiva che sorprende, fino ad insegnare. Il tutto ha l’obiettivo di erudire lo spettatore, mettendolo in guardia a proposito della (quale?) realtà, lasciando che – al termine del film, istruito com’è – possa guardarsi intorno e chiedersi: sto ancora sognando?

Paprika e la dichiarazione d’amore per il cinema di Satoshi Kon
Accanto a tutto il discorso offerto nella recensione di Paprika, ciò che emerge dalla visione del film è l’incredibile dichiarazione d’amore per il cinema da parte di Satoshi Kon, che viene resa visivamente per mezzo di una serie di riferimenti, talvolta anche espliciti, all’interno del suo prodotto. È, innanzitutto, una menzione autoriferita quella che interessa il regista e sceneggiatore giapponese che, nell’ultima scena del suo film, inserisce le sue personali citazioni a Perfect Blue, Millennium Actress e Tokyo Godfathers, sotto forma di cartelloni pubblicitari. Ma si tratta soltanto della punta dell’iceberg, inevitabilmente reso attraverso la figura di Konakawa.
È proprio il cinema, infatti, l’elemento che permette di offrire un’evoluzione al film di Satoshi Kon ed è l’amore per il cinema che costituisce il motore della carriera di Konakawa, personaggio che – quando viene rappresentato nelle vesti di regista del suo progetto sperimentale giovanile – ricorda nei lineamenti Akira Kurosawa (che viene omaggiato soprattutto per il riferimento a Sogni, del 1960). Nei sogni dell’uomo compaiono numerose citazioni al cinema più o meno accessibile da parte dello spettatore: da Tarzan a 007, passando per Vacanze Romane di William Wyler, il cui riferimento si offre grazie alla scena della chitarra che viene sfasciata in testa ad un uomo. Ancor più evidenti sono le citazioni a Godzilla, nello scontro finale tra Paprika e il Presidente, e Shining, nella scena del bar in cui Honakawa viene inseguito, passando per i due omaggi a Io ti salverò e Vertigo di Hitchock: materiale che impressiona sì lo spettatore, ma che permette anche di tracciare un percorso di quei continui riferimenti che Satoshi Kon regala a chi guarda, in un certo senso offrendo – pezzo per pezzo – anche se stesso. Una lettera d’amore che passa attraverso le sole immagini e che conferisce, a Paprika, un carattere di immortalità di cui anche il cinema stesso sembra già essersi reso conto.