Recensione – Fight Club: il capolavoro postmoderno di David Fincher

Recensione - Fight Club: il capolavoro postmoderno di David Fincher

Articolo pubblicato il 25 Agosto 2023 da Bruno Santini

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Fight Club
Genere: Drammatico, Azione
Anno: 1999
Durata: 135 minuti
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: Jim Uhls
Cast: Edward Norton, Brad Pitt, Helena Bonham Carter, Meat Loaf Aday, Zach Grenier, Jared Leto, David Andrews, Ezra Buzzington, Christina Cabot, Tim De Zarn, George Maguire, Rachel Singer, Richmond Arquette
Fotografia: Jeff Cronenweth
Montaggio: James Haygood
Colonna Sonora: The Dust Brothers, Tom Waits
Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Distribuito al cinema nel 1999 e diventato immediatamente un film manifesto della generazione contemporanea, Fight Club è già un film in grado di fare la storia, oltre che uno spartiacque importante nella tradizione cinematografica. Un vero e proprio manifesto postmoderno, in cui David Fincher si affida al trio composto da Edward Norton, Brad Pitt ed Helena Bonham Carter. Di seguito, la trama e la recensione di Fight Club, la Galassia Starbucks ad opera di David Fincher.

La trama di Fight Club di David Fincher

Nel considerare la recensione di Fight Club di David Fincher, è importante sottolineare innanzitutto quale sia la trama del film, di cui si offre la sinossiIl narratore e protagonista della storia (Edward Norton), la cui identità non viene mai rivelata, è un consulente assicurativo per conto di una grande casa automobilistica. Insoddisfatto del lavoro, depresso, insonne, ansioso, egli sembra trovare conforto solo fingendo di essere affetto da una moltitudine di malattie terminali e partecipando agli incontri dei relativi gruppi di supporto. Durante uno di questi incontri, conosce Marla Singer (Helena Bonham Carter), la quale, come il protagonista, frequenta gli incontri pur godendo di buona salute. I due decidono, per quieto vivere, di spartirsi i gruppi ai quali partecipare. Al ritorno da un viaggio di lavoro, il narratore incontra Tyler Durden (Brad Pitt), un eccentrico venditore di saponette. Quello stesso giorno, giunto a casa, il narratore scopre che il suo appartamento è stato distrutto da un’esplosione causata da una perdita di gas. Disperato, chiama Tyler in cerca di aiuto e i due si incontrano in un bar. Tyler acconsente a ospitare il protagonista nella sua abitazione fatiscente, e tra i due nasce un bizzarro rapporto, fatto di discorsi sovversivi e violenti combattimenti. Questa amicizia-simbiosi viene consolidata infine dalla creazione del “Fight Club”, un circolo segreto in cui i membri prendono parte a combattimenti brutali a scopo ricreativo. In poco tempo, il Fight Club diventa un covo di adulti insoddisfatti della vita e della società in cui vivono e la cui unica valvola di sfogo è l’alienazione nella violenza. Il club raduna adepti da tutta la nazione, e nasce il Progetto Mayhem, di stampo anticonsumistico e sovversivo, guidato dalle idee sempre più scellerate di Tyler. Quando il narratore, confuso e preoccupato dalla pericolosità del progetto, tenta di discuterne con Tyler, questi scompare; così il narratore si mette alla ricerca di Tyler, fino a scoprire la sua vera identità.

La recensione di Fight Club con Edward Norton, Brad Pitt ed Helena Bonham Carter

Apri gli occhi”: è l’ammonimento di Marla a Tyler, nel libro di Fight Club scritto da Chuck Palaniuk, che David Fincher decide di adattare spasmodicamente, con una cura maniacale che genera il riporto pagina per pagina di ogni evento raccontato, mantenendo ben saldo lo stile dell’autore statunitense. L’atto di aprire gli occhi è uno degli elementi che muove le intenzioni della storia del cinema: dal Kinetoscopio al Cineocchio di Vertov, passando per il taglio dell’occhio ad opera di Luis Bunuel in Un chien andalou, la storia del cinema si è sempre concentrata sulla questione dello sguardo, per cui non sorprende che il recente caso di Oppenheimer di Cristopher Nolan, già destinato ad essere oggetto di studio, si presenti attraverso un finale in cui gli occhi del fisico (interpretato da Cillian Murphy) vengono invece chiusi. Fight Club è una nuova prospettiva sul mondo, che David Fincher si assume il ruolo di comunicare, quasi si trattasse di un demiurgo che sa attingere dalla materia della tradizione, mescolandola all’argillosa ossessione del suo tempo e restituendo, nei fatti, quello che Fight Club è: non un prodotto mainstream, bensì un film in grado di crearne il concetto stesso. Aperti gli occhi dello spettatore e trascinatolo in una nuova realtà, intrisa di cupa paranoia verso il mondo vissuto, Palaniuk e Fincher comunicano così l’alba di una nuova realtà.

 

 

Non più i monoliti di 2001: Odissea nello Spazio, ma i bicchieri di carta di quella “Galassia Starbucks” evocata dal narratore, presente ossessivamente in ogni scena attraverso almeno un rimando visivo, stagnante nella mente dello spettatore, come un’allucinazione visiva o qualcosa che forse si è visto per sbaglio. A proposito di intromissioni: quando spiega il suo lavoro rompendo la quarta parete, Tyler Durden svela che è solito destabilizzare lo spettatore per mezzo di fotogrammi impercettibili (porno), inseriti nel mezzo di un film; lo spettatore non se ne accorge davvero, ma sa di aver visto. Così, Fight Club è pieno di ambiguità visive proprie di chi ha tenuto gli occhi aperti, forse guardando troppo: sul finale del film, allora, mentre imperversa Where is My Mind? dei Pixies, ecco intromettersi un fotogramma sbagliato, estraneo rispetto alla narrazione, che destabilizza lo spettatore. Fight Club è un’opera interamente ambigua nella sua componente estetica, che sa giocare con chi guarda e stimolare il suo sguardo; il tema del doppio Narratore/Tyler Durden è allora l’apoteosi di un processo in cui la realtà non è mai data, alla maniera shopenaueriana, ma dettata da regole alternative rispetto al senso oggettivo della vista. Accanto al protagonista del film, lo spettatore è portato a porsi domande anche su Marla, in grado di attraversare la strada trafficata di Los Angeles indenne, evitata da ogni automobile in transito; a 10 secondi dalla sua morte ma poi improvvisamente inserita nella vita di Tyler Durden; scomparsa e portata in un posto lontano eppure presente nella scena in cui il miracolo del Progetto Mayhem può compiersi. Quando, in preda ad dolore, al Narratore/Jack viene chiesto di pensare ad un animale guida, è proprio la faccia di Marla – quell’intromissione visiva e ambigua – a frapporsi a quella del pinguino e quando, in preda al dolore per la bruciatura, il protagonista tenta di rifugiarsi nel suo tunnel, è proprio Tyler (dunque se stesso) a distorcere l’immagine provocata, riportandolo alla brutalità nel mondo intriso di dolore. 

 

A proposito del sapone: in una scelta che compie anche l’antecedente letterario, David Fincher pone in essere l’estrema critica contro la società consumistica che si ciba, si diletta e si omaggia dei suoi stessi scarti; una coprofagia ciclica e nietzscheianamente eterna, che in questo caso si compie per mezzo del binomio scarto corporeo-sapone di lusso. Le cose che possiedi alla fine di possiedono, spiega Tyler Durden, in una delle massime del film che conferiscono quel tono epico, al contempo mainstream, ad un film che vuole essere iconico così come le sue finte bruciature, simbolico esattamente come le intromissioni visive, allucinato esattamente come la realtà insonne che appartiene al tempo di Tyler Durden, oltre che al nostro. 

 

Ogni atto visivo/narrato è contemporaneamente un non-detto, ogni scena ne presenta immediatamente il contraltare estetico, in un film che si pone esattamente al centro tra due epoche nella storia del cinema, in cui le fondamenta rappresentative cambiano, passando dall’esigenza di conferire dignità a qualsiasi cosa sia mostrata davanti allo schermo all’intestina necessità di evocare la realtà dell’assente. Il mondo nuovo creato da David Fincher è immediatamente una realtà che si sgretola sotto gli occhi dello spettatore, nella maestosa scena finale in cui, con l’eco di un “Mi hai conosciuto in un momento davvero strano della mia vita”, i palazzi della finanza (e quindi, contemporaneamente, dell’intera burocrazia mondiale per sineddoche) crollano, sotto i colpi di una nuova realtà che tenta di emergere sacrificando l’ossatura e le fondamenta della precedente, deturpando lo spettatore e rendendolo finalmente vivo. 

Voto:
5/5
Christian D'Avanzo
4/5
Matteo Pelli
4.5/5
Vittorio Pigini
4.5/5
Giovanni Urgnani
4.5/5
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Voto del redattore:
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