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Recensione – City of Wind, il film Orizzonti di Purev-Ochir a #Venezia80

Recensione - City of Wind, il film Orizzonti di Purev-Ochir a #Venezia80

Nell’ambito della sezione Orizzonti, particolarmente ricca di grandi firme e presieduta da Jonas Carpignano, uno dei titoli più attesi è City of Wind, film mongolo di Lkhagvadulam Purev-Ochir con Tergel Bold-Erdene, Nomin-Erdene Ariunbyamba, Bulgan Chuluunbat, Ganzorig Tsetsgee, Tsend-Ayush Nyamsuren all’interno del cast. Il film in questione vede una produzione ricca che va dalla Mongolia ai Paesi Bassi, passando per Francia, Germania e Qatar. Di seguito, la trama e la recensione di City of Wind. 

La trama di City of Wind, film Orizzonti a Venezia80

Prima di considerare la recensione di City of Wind, il film Orizzonti presentato nell’ambito di Venezia80, è importante sottolineare innanzitutto la sinossi del film in questione: “Ze è un timido sciamano di diciassette anni. A scuola studia duramente per avere successo nella fredda e brutale società della moderna Mongolia e, allo stesso tempo, è in connessione con il suo spirito ancestrale per aiutare i membri della sua comunità. Quando Ze incontra Maralaa, però, i sensi si risvegliano e si manifesta un’altra realtà.”

Recensione - City of Wind, il film Orizzonti di Purev-Ochir a #Venezia80

La recensione di City of Wind di Purev-Ochir

Dopo aver indicato la sinossi del film, si può indicare la recensione di City of Wind la Purev-Ochir, presentato nella sezione Orizzonti di Venezia del 2023Film come City of Wind muovono dall’interesse primario di cristallizzare il racconto e di mostrare le caratteristiche culturali di un paese lontano dallo sguardo occidentale. Fin dal suo inizio, il prodotto in questione inquadra perfettamente la realtà che narra, attraverso il ricorso alla tradizione culturale di cui si osservano le appendici estetiche, tramite il rituale sciamanico che coinvolge il protagonista, su cui discende lo Spirito dell’Antenato; la regista Lkhagvadulam Purev-Ochir è molto abile nella messa in sequenza dei diversi caratteri estetici e sonori, tra cui spiccano principalmente l’abito e il tamburo, a cui si affianca sicuramente la gestione degli ambienti interni, specie nel contesto domestico che permette di identificare le differenze tra le diverse classi sociali rappresentate. 


Se, in effetti, City of Wind potrebbe sembrare nient’altro che un coming of age, soprattutto nella presentazione del carattere del protagonista e nell’inquadrare la sua posizione all’interno della micro-società (specie quella scolastica), ben presto ci si rende conto di quel che il film abilmente nasconde: un racconto di impressioni, contatti – spesso crudeli – con la realtà che circonda i personaggi, scontro tra classi, in una costante ascesa verso l’esistenza che si presenta tortuosa e carica di dubbio. Il modo in cui i personaggi di City of Wind vivono differisce, così come la cornice in cui sono nati e cresciuti: in tal senso, il film mongolo riprende l’assunto sofista secondo il quale è il contesto sociale in cui si nasce a determinare gran parte degli elementi della propria esistenza. Ze, in effetti, è un alunno modello, particolarmente ammirato dalla sua professoressa perché in grado di far parte della futura classe dirigente della Mongolia e, allo stesso tempo, idolatrato tra le mura domestiche in virtù della sua capacità di “capire le cose”, indipendentemente dall’effettiva veridicità della cosa: in più punti del racconto, infatti, il protagonista è oggetto di un dubbio relativo alla sua capacità di essere realmente uno sciamano in grado di far discendere su di sé lo Spirito evocato, addirittura ammettendo – in un dato momento – di non riuscire nel classico processo. Eppure, c’è un qualcosa di più rispetto alla riuscita di ogni atto: è la necessità di credere, di affidarsi ad un dato elemento, che alimenta l’esistenza di molte persone, in assenza di uno scopo altro che non sia quello di proseguire, giorno dopo giorno, il proprio modus vivendi. 


La regia di Lkhagvadulam Purev-Ochir non compie alcun salto mortale nel rappresentare la realtà oggetto di racconto: lo skyline della Mongolia viene inquadrato in più circostanze, con un accento particolare che viene posto sul diverso trattamento degli interni (a casa di Ze ci si lava i capelli con un catino d’acqua, mentre nelle case delle famiglie più abbienti si utilizza la doccia, per offrire un solo esempio), mentre relativamente alle scenografie c’è sicuramente poco da commentare, a proposito di una scelta sempre centrata e valida. Da premiare sono, invece, le interpretazioni dei due giovani protagonisti, sicuramente molto abili nel restituire quel costante senso di spaiamento e di ambiguità tra classi che costituisce il senso del racconto: anche e soprattutto nell’abbandono, conflittuale, i due attori alzano il livello, riuscendo a rendere il film presentato In Concorso nella sezione Orizzonti una piccola perla. Purtroppo, non si può ambire a qualcosa in più, soprattutto a causa di un film che appare acerbo nella sua gestione e che, fosse stato maggiormente asciutto e meglio calibrato in molte delle sue sequenze, avrebbe ottenuto un risultato senza alcun dubbio migliore. L’augurio, a questo punto, è che City of Wind possa presto trovare la distribuzione che merita. 

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