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Recensione – Adagio: il film di Stefano Sollima a #Venezia80

Adagio: la recensione in anteprima del film di Stefano Sollima

Dopo essersi prestato a storie con star internazionali, il regista Stefano Sollima decide di tornare al cinema attraversando ancora una volta le strade di Roma con il suo film “Adagio“, presentato in concorso all’ottantesima edizione del festival di Venezia e conclusione della sua trilogia criminale iniziata con “Acab” e “Suburra”.

La trama di Adagio, diretto da Stefano Sollima

Per il ritorno al cinema italiano di Stefano Sollina è stata presentata la seguente trama:

“Nella città di Roma è scoppiato un incendio che crea continui malfunzionamenti. Manuel è un adolescente di 16 anni, figlio dell’ex gangster Daytona che è ormai debole a causa della vecchiaia. Un giorno il giovane viene costretto da dei carabinieri corrotti a scattare delle foto, ma lui decide di rinunciare. Senza saperlo, Manuel si è invischiato in una situazione estremamente pericolosa e che lo potrebbe portare alla morte, così vuole scappare. Ad aiutarlo interverranno dei vecchi compagni di suo padre soprannominati Polyuman e Cammello.”

La recensione di Adagio di Stefano Sollima

Il regista utilizza la sua cinepresa nelle strade urbane con un’impostazione tecnica notevole, attraverso dei campi lunghi eleganti che ritraggono la capitale d’Italia come una città imponente ma in continua decadenza. I colori dell’incendio che brillano lontani, con il fumo che si vede in lontananza senza mai inquadrare le fiamme vere, sembrano voler mostrare una sofferenza di base che costantemente avvolge gli abitanti della città, generando un calore insopportabile. Molto interessanti anche i dettagli che il regista decide di riprendere, come la tasca del cellulare di Manuel da cui esce la luce della torcia mentre lui scappa in moto: è come se la luce del cellulare riflettesse la luce della speranza di non rimanere ucciso. Il cast che compone l’opera è davvero eccellente: se Pierfrancesco Favino e Adriano Giannini bucano lo schermo con un aspetto irriconoscibile e Valerio Mastandrea riesce a mantenere un equilibrio perfetto tra dolcezza e freddezza nei suoi toni, colui che ruba la scena è Toni Servillo, grazie ad un’alternanza tra fragilità e ferocia capace davvero di fare paura con lo sguardo. Anche il giovane Gianmarco Franchini fa una buona performance e meriterebbe di ottenere altri impieghi per accrescere il suo talento. Da lodare le musiche dei Subsonica, specialmente nei pezzi più commoventi che cercano di connettersi all’essenza dei protagonisti anche durante i momenti di tensione.

L’incendio di Roma non è soltanto una decorazione estetica, ma è un’allegoria che si riflette sui personaggi, i quali sono finiti in un vortice infernale da cui sembra impossibile uscirne vivi. Stefano Sollima mette in evidenza un disagio sociale molto forte, con la corrente che, a causa degli incendi, se ne va in continuazione e toglie respiro alle persone, costantemente private della luce sia fisicamente che interiormente. I figli del carabiniere Vasco vivono in condizioni difficili, con quest’ultimo che ha paura di non riuscire ad arrivare a fine mese a causa dei soldi che deve mandare alla moglie per colpa del divorzio, cercando una strada alternativa e tentando spasmodicamente di catturare il giovane protagonista. Nel film viene quindi messo in evidenza, seppur soltanto accennato, le problematiche legate a stipendi bassi e debiti salati che creano frustrazione e di conseguenza la rabbia da cui nasce il desiderio di riscatto. Tuttavia Sollima non giustifica questi carabinieri e anzi, al contrario, condanna le azioni fasciste nell’essere disposti a tutto pur di arrivare al loro scopo e a seppellire le prove, sfruttando minori ed essere disposti ad uccidere a sangue freddo pretendendo che tutto sia loro dovuto. Anche quando Vasco deve prendere un bicchiere d’acqua, lo chiede con un’arroganza tale da guardare gli altri dall’alto verso il basso.

Adagio di Stefano Sollima: la recensione

Adagio, un thriller adrenalinico ma imperfetto

L’altra faccia della medaglia sono gli ex mafiosi Pol Nyuman e Daytona: il primo decide subito di voler prendere una fetta dei probabili introiti arrivando alla prepotenza del ricatto, mentre il secondo crede che tutto possa essere risolto attraverso la violenza e le minacce. Entrambi decidono di tornare ad essere predatori, così come gli stessi carabinieri sono predatori: ognuno contribuisce a questa caccia continua che non fa altro che seminare morte. L’intensità di questa caccia è il simbolo della decadenza della città, così come le azioni passate di Cammello che lo tormentano durante il sonno. Il personaggio di Daytona, per quanto retto dalla sublime performance di Toni Servillo, è tuttavia la parte più debole della scrittura perché non si capisce che tono il regista voglia dare alla sua caratterizzazione. L’unica cosa interessante è probabilmente il suo lato feroce che ogni tanto riemerge, simbolo di un passato dedito alla malavita, ma il suo rapporto con Manuel appare confuso, così come la strada con cui viene tracciata il suo percorso. In tal senso, bisogna provare compassione verso di lui perché ormai è completamente andato a causa della vecchiaia o i momenti in cui appare lucido e spietato sono un modo per dire allo spettatore che non bisogna provare alcuna pietà? La sceneggiatura e la messinscena non sono chiare in questo.

Cammello, ultimo ex gangster del trio romano formato da lui, Pol Nyuman e Daytona, cerca costantemente di prendere le distanze dalla sua vita, decidendo di passare i suoi ultimi giorni tranquillamente con la sua partner. Il personaggio esprime tutto il suo dolore nell’aver perso anni di vita, ma soprattutto il suo figlio a causa delle sue attività malavitose. Il rapporto tra lui e Manuel riesce ad apparire estremamente toccante proprio per questo: Manuel somiglia spaventosamente al figlio di Cammello, e nel momento in cui l’ex componente della banda della Magliana è vicino al ragazzo, è come se avvertisse la presenza di suo figlio perduto. Manuel è infatti l’unico personaggio in pericolo a non aver ucciso nessuno e a voler semplicemente scappare dall’oscurità di Roma, esponente della nuova generazione, è l’unico faro che rappresenta la speranza per un futuro migliore. “Adagio” è un film imperfetto a causa della parte centrale in cui si prova ad approfondire con goffaggine il rapporto tra Daytona ed altri personaggi, ma è anche un’opera sensibile piena di momenti adrenalitici accompagnati da performance ottime. Con semplicità il capitolo conclusivo della trilogia criminale crea un ponte tra la vecchia e la nuova generazione, dimostrando un punto di ripresa per tutti. 

Voto:
3/5
Andrea Boggione
2.5/5
Christian D'Avanzo
3/5
Matteo Farina
0.5/5
Gabriele Maccauro
3.5/5
Alessio Minorenti
3.5/5
0,0
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