Recensione – Il derattizzatore, il nuovo corto di Wes Anderson su Netflix

Recensione - Il derattizzatore, il nuovo corto di Wes Anderson su Netflix

Articolo pubblicato il 20 Ottobre 2023 da Giovanni Urgnani

Il deratizzatore (The Ray Catcher) è un nuovo cortometraggio di Wes Anderson su Netflix, distribuito il 29 settembre 2023, a seguito dell’uscita su piattaforma del mediometraggio La meravigliosa storia di Henry Sugar e del cortometraggio Il Cigno. La coppia formata da Ralph Fiennes e Rupert Friend torna in un cortometraggio che adatta un breve racconto di Roald Dahl. Di seguito, la trama e la recensione di Il derattizzatore. 

La trama di Il derattizzatore, il corto di Wes Anderson su Netflix

Il derattizzatore è un nuovo corto di Wes Anderson tratto dalla raccolta Il cane di Claud, di Roald Dahl. Il contesto è quello del Wisteria Cottage, in cui lo scrittore ha soggiornato con l’obiettivo di conoscere le abitudini del luogo e della sua gente, poi raccontate principalmente all’interno della sua raccolta di scritti: il protagonista del corto è un derattizzatore (Ralph Fiennes) che, nel corso della sua vita, è diventato più ratto del ratto, assumendone comportamenti e tentando di comprendere quali siano le logiche di questi animali, con il solo scopo di catturarli e ucciderli. Nel contesto del villaggio, il derattizzatore prova dapprima ad avvelenare i topi che infestano i granai e, successivamente, dopo aver fallito nella sua impresa, tenta di impressionare i cittadini con la sua brutalità. 

La recensione di Il derattizzatore: un Wes Anderson a tinte horror

Così com’era stato possibile osservare all’interno del cortometraggio Il Cigno, Wes Anderson aggiusta il tiro rispetto a quegli errori prettamente strutturali che l’avevano interessato in La meravigliosa storia di Henry Sugar. I contesti sono notevolmente differenti, anche e soprattutto per portata narrativa, così come l’intento di opere che differiscono per le loro finalità: in un corto come Il derattizzatore Wes Anderson riesce non soltanto ad adattare brevi racconti, dal potenziale che soltanto il cinema può essere in grado di completare visivamente ed esteticamente, ma anche a sperimentare e connotare la propria carriera attraverso elementi aggiuntivi. 

 

Il Cigno si serve pesantemente di Rupert Friend nei panni del narratore, un elemento che certamente manca all’interno del cortometraggio con Ralph Fiennes, per cui la narrazione viene affidata a Richard Ayoade. Nel corto in questione è minore anche il respiro spaziale, con movimenti di camera molto meno marcati e un’ampiezza della rappresentazione che tende al claustrofobico: il piccolo villaggio tratto da Wisteria Cottage si presenta attraverso una strada in ghiaia, una pompa e poche strutture, che si contrappongono al granaio che spesso viene inquadrato dalla camera fissa. Se in Il Cigno era un leitmotiv il piano sequenza e l’interazione spaziale, in Il derattizzatore sono pochissimi i movimenti con carrello: la macchina da presa che si concede pochi orpelli e che richiama lo stile “classico” di Wes Anderson, attraverso la disposizione simmetrica e tripartitica delle figure in primo piano, alternata a numerosi raccordi che congiungono le diverse parti dell’ambiente rappresentato. 

 

Sfruttando la sua conoscenza dell’animazione e della stop motion, Wes Anderson rappresenta il ratto (fino a quel momento soltanto evocato simbolicamente) richiamando i fasti di Fantastic Mr. Fox e, soprattutto, permettendo alla sua narrazione di incedere verso l’horror. Per un regista che viene apprezzato per la sua esplosività cromatica, l’horror è certamente una novità, tanto da riuscire ad essere cadenzato non necessariamente attraverso l’eccesso visivo: le scene finali di Il derattizzatore sono cupe, si arricchiscono del contributo sonoro e di una palette di colori freddi, trasformando visivamente i personaggi in ratti grazie ad un processo climatico decisamente valido, per poi riportare immediatamente la narrazione sui suoi binari attraverso la chiusura degli occhi del narratore. Quasi come in presenza di una lezione ben appresa, anche in questo caso la rottura della quarta parete è meglio resa, così come gli interventi del Roald Dahl scrittore (Ralph Fiennes), che si inseriscono naturalmente all’interno della narrazione. 

La nuova dimensione di Wes Anderson nel cortometraggio

Parlare di un Wes Anderson finito o così tanto autoreferenziale da stancare lo spettatore è ormai un imperativo della cinefilia: che questo discorso arrivi prima o dopo, guardando alle opere della carriera di Wes Anderson, ci si confronta inevitabilmente con un discorso che ha a che fare con la stanchezza dello spettatore e con il carattere respingente di determinate opere. Il cortometraggio sembra appartenere ad una nuova dimensione di Wes Anderson, che ha tanto sperimentato visivamente con i suoi film e che – nelle sue ultime opere in carriera, vedasi The French Dispatch – si è già dedicato ad una struttura che tende all’episodio, condensando in pochi minuti di racconto quell’esplosione estetica, tecnica e strutturale che un lungometraggio potrebbe, invece, diluire. In passato, cortometraggi come Hotel Chevalier avevano permesso di anticipare opere più importanti o di presentare Wes Anderson in una nuova veste, non più soltanto indie: a questo punto della carriera del regista, il corto appare quasi una necessità stilistica, una dimensione estetica entro la quale rifugiarsi e conoscersi maggiormente, sperimentando altro e restituendo una versione sempre più aggiornata e completa di sé. 

Voto:
3.5/5
Andrea Barone
0/5
Arianna Casaburi
0/5
Christian D'Avanzo
3.5/5
Emanuela Di Pinto
0/5
Gabriele Maccauro
3.5/5
Alessio Minorenti
0/5
Riccardo Marchese
0/5
Paola Perri
0/5
Matteo Pelli
0/5
Vittorio Pigini
0/5
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