Asteroid City: il significato del film di Wes Anderson

Asteroid City: il significato del film di Wes Anderson

Articolo pubblicato il 12 Febbraio 2025 da Giovanni Urgnani

Distribuito al cinema il 28 settembre 2023, Asteroid City è il nuovo film di Wes Anderson che, dopo aver presentato in anteprima al Festival di Venezia La meravigliosa storia di Henry Sugar, torna con al lungometraggio a seguito di The French Dispatch. Un cast di prim’ordine e di numerose presenze accompagna il lungometraggio fortemente apprezzato da gran parte della critica, ma su cui inevitabilmente ogni spettatore si interroga: ma qual è il significato di Asteroid City di Wes Anderson?

Il significato di Asteroid City di Wes Anderson

Nel corso della sua carriera, Wes Anderson si è servito sempre del suo cinema per comunicare temi che vengono sì addolciti dalle immagini e dalla cura cromatica e strutturale di ogni dettaglio, ma che celano una grande spietatezza da parte del regista statunitense. La politica in Grand Budapest Hotel e L’isola dei cani, la famiglia in Fantastic Mr. Fox, Moonrise Kingdom e I Tenenbaum, l’ossessione in Le avventure acquatiche di Steve Zissou, l’istituzione in Rushmore: in ogni film, Wes Anderson riesce a far comprendere sempre ciò che pensa, schierandosi inevitabilmente e assumendo un ruolo mai banale. Ma qual è il significato di Asteroid City? 


Per la prima volta, il regista sembra parlare davvero e del tutto di se stesso, di quella depressione che le immagini comunicano, di quel senso di insoddisfazione per l’esistenza che viene comunicato attraverso il carattere di ogni personaggio. Torna qui l’istituzione goffa e coercitiva, rappresentata dal governo statunitense che non sa mai davvero come agire nei confronti della quarantena, così come tornano i bambini geniali che giungono là dove gli adulti non sanno arrivare. Torna, infine, il protagonista cupo e abbandonato a se stesso. Asteroid City parla, in un certo senso, della carriera di Wes Anderson e del momento attuale che vive: è un film che nasce dalla pandemia e dalla quarantena e che finisce per costruirne un’altra, replicandone gli atteggiamenti di chiusura e sapendo suggerire quell’immobilismo tanto fisico, quanto artistico da cui il regista sembra volersi divincolare con forza. 

Personaggi in cerca di autore

Quando, in una scena straordinaria del film, il protagonista di Asteroid City di Wes Anderson si interroga sul perché si sia ferito la mano volontariamente, avviene una svolta all’interno del film del regista statunitense: Augie si chiede perché stia facendo ciò che fa, mentre Schubert gli risponde che probabilmente non lo saprà mai, ma che comunque dovrà continuare a farlo. Per un cinema così simmetrico e geometrico, come quello di Wes Anderson, l’evasione sembra essere quasi un tabù da scacciar via; eppure, Asteroid City è perfettamente maturo e consapevole nel rappresentare la vita per quel che è, nel suo aspetto più confusionario e difficile da cogliere: in questo senso, i protagonisti del film sono personaggi in cerca d’autore alla maniera pirandelliana.

 

Esseri umani che hanno l’esigenza di comunicare e comunicarsi, pur agendo in un mondo all’interno del quale sono costretti ad una dimensione orizzontale e standardizzante (il manager dell’hotel interpretato da Steve Carell, ad esempio, è colui che risponde “ma certo, lo capisco” a qualsiasi interrogativo gli venga posto, mentre la maestra interpretata da Maya Hawke ha l’esigenza costante di continuare a spiegare io pianeti, nonostante il suo mondo sia del tutto cambiato). La risposta a questo meccanismo costante, lo stesso per cui da anni ci si chiede quale sia il reale obiettivo del cinema di Wes Anderson, la si ritrova in uno dei bambini-geni, che continua a scommettere in maniera sempre più pericolosa: quando gli si chiede perché lo faccia, risponde che questo è l’unico modo per sentirsi vivo. 

La potenza delle immagini per Wes Anderson

Il filo conduttore della carriera di Wes Anderson è, da sempre, rappresentato dalla grande fiducia nelle immagini da parte del regista statunitense: un ricorso che a tratti viene definito solo ed esclusivamente autoreferenziale ma che, nei fatti, comunica l’estrema esigenza del regista di creare realtà e di confonderle con l’immaginario. In un certo senso, Astroid City è il film più immaginifico e potente – sotto questo punto di vista – di Wes Anderson, poiché crea e dispone le regole di un non-mondo e un non-tempo, coniugando perfettamente rappresentazione e oggetto rappresentato. La città di Wes Anderson è un luogo che dialoga con il mondo che la genera e che, tramite il ricorso cieco all’immagine, “collega” i due mondi, rendendoli interconnessi e rendendo possibile quell’influenza reciproca che soltanto l’artista, che vive di arte e pensa l’arte quotidianamente, può cogliere davvero. 

 

In un certo punto del film, l’Augie Steenbeck di Jason Schwartzman apre una delle porte del set e si introduce nel bianco e nero, squarciando l’immaginario e immettendosi nel reale: il suo viaggio nel backstage del set continua attraverso il dialogo con lo Schubert Green di Adrien Brody e con quella che, nella commedia, è la sua moglie defunta (Margot Robbie); intanto, altre figure sembrano immettersi all’interno del mondo che li genera, esattamente come un pensiero fa con la sua “casa madre” (a proposito di alieni, nient’altro che un’ennesima immagine metaforica), la mente. Nel mentre, lo spettacolo – cioè, la vita – deve continuare, dunque c’è poco tempo per interrogarsi e ripercorrere la propria storia, pur nella necessità di ripiegare su se stessi, su quel bianco e nero che tuona violentemente a gran voce, indicando la strada da seguire. 

 

Se c’è un elemento per cui davvero Wes Anderson può dirsi differente, rispetto alla prima parte della sua carriera, riguarda l’estetica: non più soltanto l’esigenza di creare un determinato mondo, quanto più la necessità carnale di introdurvisi. Il regista statunitense è stato così tanto ossessionato dal suo mondo da diventarne l’effettivo protagonista, comunicando attraverso alcuni segnali (il cartello con “un narcisista è morto qui”, che probabilmente parla di se stesso, ne è l’esempio) con lo spettatore e assottigliando, film dopo film, il confine che c’è tra idea e sua rappresentazione. In Asteroid City, un viaggio prezioso nella mente di Wes Anderson, ormai quel confine non esiste più, poiché è il regista stesso ad aver accolto il suo spettatore.