Articolo pubblicato il 6 Gennaio 2022 da wp_13928789
Drake Doremus è un autore spesso ritenuto estremamente interessante e toccante dalla critica (si pensi a “Equals”, in concorso per il Leone d’Oro a Venezia), ma allo stesso tempo è uno di quegli sfortunati per non essere molto conosciuti dal pubblico. Certo, se un’opera come “Zoe”, la quale ha star del calibro di Lea Seydoux e Ewan McGregor, giunge in Italia su Amazon Prime Video nel 2018 senza nemmeno essere doppiata, non ci si può neppure sorprendere se il pubblico non appare interessato (con tutto il rispetto per l’amata visione dei film in originale). Per la nostra rubrica “I Dimenticati” abbiamo scelto quindi questo particolare sci-fi.
Il lungometraggio è ambientato in un futuro non troppo distante in cui Zoe, un’esperta tecnologica aiuta il ricercatore Cole, specializzato nella robotica, a trasferire le emozioni in progetti attualmente sofisticati. Tuttavia, dopo poco tempo, Zoe scopre di essere un’esatta replica di un essere umano a cui sono stati impiantati ricordi ed emozioni. Dopo questo, il suo rapporto con Cole si complicherà.
La regia di Doremus segue una linea estremamente intima, focalizzandosi sui tocchi e gli sguardi dei personaggi che penetrano negli altri e in loro stessi, attraverso la fotografia di John Guleserian che evidenzia una luce splendente che ricerca continuamente la rinascita di ciò che è bello in un mondo apparentemente perduto e che nemmeno sa che potrebbe esserlo nonostante la continua ricerca del benessere.
L’interpretazione di Lea Seydoux è forse una delle più belle che si siano mai viste in un dramma fantascientifico, con una voce sensuale accompagnata però da gesti ed espressioni pieni di una tenerezza fortissima, la quale evidenziano la continua ricerca di amore e vita della ragazza. Ewan McGregor è un ottimo comprimario che sta al passo della Seydoux ed esprime pienamente quel continuo grado di insicurezza che cerca di nascondere attraverso la certezza delle braccia della tecnologia.
La bellezza di quest’opera è sorretta soprattutto da una sublime sceneggiatura che ricalca la complessità della semplicità dell’animo umano: viene evidenziata infatti l’incredibile avanzo della robotica che si butta per aiutare l’uomo, ma nonostante quest’ultimo ci tiene ad emularlo, non appena il cuore entra dentro i fattori della tecnologia, semplici emozioni rischiano di rendere ingestibile il tutto… e la stessa tecnologia che non comprende sembra poi tramutarsi in apatia.
Zoe, il replicante protagonista del film, riflette certamente ciò che ormai abbiamo visto spesso nel cinema, ovvero l’infinita bellezza delle emozioni umane che tramutano tutto nel volere semplicemente ricevere affetto e nel non essere visti come dei semplici vuoti oggetti, dimostrando che l’amore si può diffondere in ogni dove, ma una volta diffuso è difficile da applicare. A differenza di altre opere in cui la tecnologia dimostra qualcosa di apocalittico che vuole mangiarsi tutto, qui la stessa tecnologia si vede continuamente come inferiore all’essere umano (l’apatia infatti non trasforma gli uomini, ma prende i robot che non arrivano a comprenderli).
Con questo continuo rapporto tra tecnlogia e umanità, il regista vuole allo stesso tempo dimostrare che le difficili lotte di Zoe per continuare a vivere riflettono ciò che siamo noi, che per sempre più tempo ci reputiamo smarriti perché le persone accanto a noi non riescono ad aprirsi e ci creano più titubanza, facendoci chiedere se tutto ciò per cui proviamo meraviglia vale la pena di essere vissuto in un unico corpo, perché il dolore di apparire invisibili, come delle banali copie di sacchi di carne che finiscono di essere gettati nella spazzatura, come le robot prostitute, le quali simboleggiano un’umanità alienata che va avanti solo con lo scopo di servire al mondo che ci usa, ma non ci guarda e non ci accoglie. Tutto ciò è la paura più grande che possiamo affrontare… e ciò causa una profonda immedesimazione nella protagonista, la quale in più frangenti finirà per farci commuovere.
“Zoe” è un’opera figlia di numerose opere fantascientifiche che hanno cercato di decifrare i dilemmi dell’umanità (tra cui anche il recente “Lei” di Spike Jonze), ma non per questo perde una propria identità, mostrando una delicatezza affrontata da una sceneggiatura sublime, una regia coinvolgente e delle performance perfette che potranno trascinarvi in un film d’amore che vi farà capire che non siete soli. Si spera che questo film prima o poi venga doppiato e che riceva una dignitosa distribuzione home video, perché lo merita veramente.
Andrea Barone