Articolo pubblicato il 19 Giugno 2024 da Arianna Casaburi
Dopo Oliver (Good Grief) è il film d’esordio scritto, diretto e interpretato da Daniel Levy, prodotto e distribuito sulla piattaforma Netflix a partire dal 5 gennaio 2024. Figlio d’arte, Daniel Levy ha stabilito un nuovo record durante gli Emmys del 2020, in quanto vincitore come regista e miglior attore non protagonista in una commedia per la serie Schitt’s Creek insieme al padre Eugene che a sua volta vinse il premio come miglior attore protagonista nella medesima serie. Di seguito la trama e la recensione di Dopo Oliver, il film di e con Daniel Levy disponibile su Netflix.
La trama di Dopo Oliver, film Netflix di e con Daniel Levy
Di seguito si riporta la trama di Dopo Oliver, il film scritto, diretto e interpretato da Daniel Levy, disponibile per la visione su Netflix a partire dal 5 gennaio 2024:
Marc e Oliver sono una coppia molto affiatata: dediti l’uno all’altro, vivono insieme in un elegante appartamento londinese e condividono una florida attività lavorativa. Marc, infatti, illustra i romanzi di Oliver, che negli anni è divenuto uno scrittore di grande successo. Innamorati come il primo giorno, decidono di trascorrere il Natale in compagnia di amici e parenti: la serata trascorre tranquilla, finché Oliver non prende un taxi alla volta di un viaggio che lo porterà fuori casa per qualche giorno. Poco dopo il rumore delle sirene delle ambulanze interrompe i festeggiamenti: Oliver è rimasto coinvolto in un incidente mortale a pochi metri dall’appartamento. Marc si ritrova così a fare i conti con un dolore lancinante e una quotidianità che non tornerà mai più come prima.

La recensione di Dopo Oliver: l’amore, l’elaborazione del lutto e l’importanza dell’amicizia
Dopo Oliver è un film che parla del concetto di perdita in ogni sua declinazione: dal lutto per la scomparsa della persona amata, alla solitudine dopo aver posto fine a una relazione, fino ad arrivare al senso di abbandono provato quando ci si sente messi da parte dei nostri più cari amici. In questo senso il titolo originale è molto più significativo, in quanto l’espressione good grief può essere interpretata sia come un’interiezione usata per indicare una situazione spiacevole, che, prese separatamente, le due parole creerebbero un ossimoro per definire un dolore positivo. Quest’ultima accezione rispecchia effettivamente ciò di cui Marc (Daniel Levy) si ritrova a dover far esperienza, costretto ad affrontare il dolore per il lutto di suo marito e la scoperta dopo la sua morte della relazione extraconiugale con un amante a Parigi.
L’elaborazione della perdita della persona amata da parte di Marc non è tuttavia l’unico fulcro drammatico del film. Il protagonista è infatti fortunatamente circondato da un altro tipo di amore, quello dell’affetto dei suoi più cari amici: Thomas, un suo ex fidanzato molto sensibile con cui però è rimasto in ottimi rapporti e Sophie, una ragazza stravagante che ha paura di porre fine alla sua relazione e rimanere sola. I tre sono accomunati dalla loro passione per l’arte, che hanno saputo trasformare in un vero e proprio lavoro. Marc infatti è un illustratore e pittore, e, in seguito alla morte della madre e poi a quella di Oliver non era più riuscito a dipingere. Grazie al supporto dei suoi amici e all’incontro di Theo, Marc riuscità nuovamente a tornare a lavorare sulle sue tele, per trasformare il suo dolore in una serie di dipinti, tramite quel “good grief” catartico e terapeutico che solo la fruizione dell’arte può offrire.
Nel film il processo di metabolizzazione del lutto di Marc è gestito e rappresentato in modo fedele e delicato, senza forzature o esagerazioni drammatiche. Il gruppo di tre amici formato da Marc, Thomas e Sophie sembra realmente unito e tenuto saldamente insieme da un legame forte e reciproco che tuttavia si ritrova a vacillare a causa del dolore che ciascuno di loro sta provando nella medesima fase della vita. Il film non spicca certo di originalità, in quanto le tematiche affrontate sono abbastanza trite e il modo in cui si è scelto di presentarle è discretamente banale e piatto. Nonostante ciò, c’è da riconoscere il fatto che le relazioni e i dialoghi tra i personaggi, soprattutto inerenti al discorso dell’elaborazione personale del dolore, risultano abbastanza naturali e realistici e abili a sdrammatizzare con momenti di semplice comicità.