Cerca
Close this search box.

Recensione – Road House: un remake che si prende fin troppo in giro

Jake Gyllenhaal torna nei panni del protagonista nel remake di Road House, diretto da Doug Liman e distribuito in streaming su Amazon Prime Video.
Recensione - Road House: un remake che si prende fin troppo in giro

Dopo aver tentato di far decollare il progetto di un remake per diversi anni, la MGM è finalmente riuscita a finalizzare il film Road House che è stato distribuito direttamente sulla piattaforma di Amazon Prime Video, con la regia di Doug Liman e l’interpretazione di Jake Gyllenhaal nei panni del protagonista. Il film in questione, che costituisce il remake di Il duro del Road House di Rowdy Herrington, presenta nel suo cast anche Conor McGregor che invece interpreta il villain del film. Di seguito, si dice di più a proposito della trama e della recensione del film.

La trama di Road House, il remake di Doug Liman con Jake Gyllenhaal

Al fine di parlare, più nello specifico, della recensione di Road House, vale la pena offrire uno spunto innanzitutto a proposito della trama del film diretto da Doug Liman. Il protagonista è Elwood Dalton (Jake Gyllenhaal), un ex lottatore di UFC che ha cambiato vita dopo un drammatico evento che l’ha visto uccidere – sull’ottagono – un suo avversario e amico apparentemente fuori controllo. Da quel momento in poi si guadagna da vivere semplicemente spaventando i suoi avversari in incontri clandestini, finché non viene ingaggiato per diventare il buttafuori di un locale chiamato Road House, bersagliato da una serie di uomini per inizialmente non precisati motivi. Da questo momento in poi inizia l’escalation di violenza che porta Dalton ad affrontare diversi nemici per il controllo del locale e della zona.

La recensione di Road House: tanta violenza e fin troppa ironia

Road House è un prodotto che si ascrive senza dubbio a quei prodotti che propongono un modello di intrattenimento legittimo, se non addirittura necessario per alcune tipologie di spettatore, il cui fine ultimo – benché l’inserimento del dramma appaia quasi un cliché cinematografico attuale – non è esattamente istruire lo spettatore, bensì regalargli un paio d’ore di eccessi estetici e visivi. Ciò, come di recente era accaduto anche con Covenant di Guy Ritchie, si accompagna ad un lavoro che non passa esattamente inosservato (dal punto di vista produttivo), data la regia di Doug Liman (Mr. e Mrs. Smith, Locked Down, Chaos Walking) e l’interpretazione di Jake Gyllenhaal nei panni del protagonista.

Ma con quale risultato? Per offrire una risposta concreta, bisognerebbe quasi dividere il film idealmente in due parti, con una prima che appare tutto sommato sufficiente e concreta nella sua forma e una seconda che, invece, sceglie volontariamente di diventare preda di eccessi e sfrenatezze tanto dal punto di vista visivo quanto nell’assenza di una reale proposta di compostezza narrativa. Nell’idea – anche didascalicamente manifesta – di un western che si ripresenti in forma di pugni e calci (l’uomo solitario accorre nel villaggio sperduto per liberarlo dalla minaccia dell’antagonista burbero), Jake Gyllenhaal presta il volto ad un avventuriero che sembra ricordare idealmente la caricatura di quei ruoli – Nightcrawler, Southpaw – che hanno raccolto il plauso di numerosi spettatori ma che, per chi scrive, non sono mai apparsi così tanto indimenticabili o comunque migliori rispetto alla compostezza di una pellicola come Wildlife. Indipendentemente dalla preferenza di un certo ideale gyllenhaaliano, ciò che sembra sembra trasparire dal ruolo dell’attore è una volontà di sovraccaricare l’espressione, sgranando gli occhi e risolvendo il tutto in una mezza smorfia di sorriso, che mal si contrappone all’action tutto pugni e calci che invece si osserva in gran parte della pellicola.

Se con Jake Gyllenhall, però, parliamo pur sempre di un attore per il quale si può discutere a proposito di un’idea di resa del personaggio, per il suo opposto Conor McGregor – di fatto, una reale caricatura di se stesso – appare naturalmente impossibile trovare dei termini positivi. L’ex lottatore irlandese appare così tanto sui generis e ridicolo nel suo ruolo da sembrare quasi la chiave di volta per un film nel film, un Road House più cartoonesco che si contrapponga – invece – a quel film decente e composto che si è osservato per una prima ora. È impossibile, dati questi presupposti, riuscire a parlare con sufficienza di una pellicola che non si era spinta oltre lo standard nella sua prima parte (l’oscuro passato del protagonista, l’affermarsi in una nuova dimensione, la crescita della popolarità del personaggio), ma che finisce per prendersi decisamente in giro. La regia di Doug Liman lasciava presagire che accanto a qualche soggettiva di pugni e schivate si accompagnasse anche un’ironia nei dialoghi e nella resa dei personaggi, ma ben presto si eccede oltre quanto il film effettivamente richiesta, con una costruzione che sembra quasi ricordare quella di uno shonen senza alcuna pretesa, in cui il fight costante appare l’obiettivo. Se anche fosse – si diceva precedentemente – non sarebbe un reale problema, ma purtroppo il tutto tende a diventare grossolanamente fantasy con corpi che non sembrano fatti di carne ma di adamantio, scazzottate che ricordano sequenze di cartoni e una profondità nell’azione che appare dimenticata.

1,0
Rated 1,0 out of 5
1,0 su 5 stelle (basato su 1 recensione)
Road House
Road House

Road House è il remake del film Il duro del Road House di Rowdy Herrington, con Jake Gyllenhaal nei panni del protagonista e Conor McGregor in quelli del villain.

Voto del redattore:

5 / 10

Data di rilascio:

21/03/2024

Regia:

Doug Liman

Cast:

Jake Gyllenhaal, Conor McGregor, Daniela Melchior, Billy Magnussen, Jessica Williams, Joaquim de Almeida, Lukas Gage

Genere:

Thriller, action

PRO

La buona regia di alcune scene in soggettiva
La prima parte del film è sufficiente…
… ma la seconda è assolutamente sbagliata
L’interpretazione di Conor McGregor
L’ironia eccessiva del film