Articolo pubblicato il 8 Giugno 2022 da Carmine Marzano
Introduzione
Le mura di un carcere hanno da sempre stuzzicato la fantasia del cinema, abile nel ritrarre la condizione umana in una situazione di restrizione forzata; le serie TV data la struttura ad episodi, che permette loro di poter avere più tempo disposizione, nel genere carcerario hanno trovato terreno fertile, mietendo grandi successi tramite titoli come “Oz” (1997-2003), “Prison Break” (2005-2009, 2017) e “Orange is New Black” (2013-2019). Il produttore e sceneggiatore televisivo Alex Pina da sempre attento a ciò che tira forte, risulta essere tra gli artefici del rinnovamento della serialità televisiva spagnola, ottenendo larga fama per essere stato il creatore del successo mondiale “la Casa di Carta” (2017-2021), cimentandosi però in precedenza con una serie TV di ambientazione carceraria, “Vis a Vis – il Prezzo del Riscatto” (2015-2019, 2020), la cui prima stagione uscì sul canale Antena 3.
Bollata da taluni come mero clone spagnolo di “Orange is New Black”, in realtà se ne distacca quasi subito sia narrativamente, che nei toni, essendo, a differenza della produzione americana, non una commedia con spunti drammatici, ma un vero e proprio thriller carcerario con venature per nulla nascoste di critica sociale. Lo spettatore familiarizza con il carcere femminile a gestione privata di Cruz del Sur, attraverso il personaggio di Macarena Ferreiro Molina (Maggie Civantos), una giovane donna bionda, fisicamente attraente e di buona famiglia, che in un tale contesto sembra quindi un pesce fuor d’acqua, dovendo però scontare 7 anni a causa di una condanna per furto, riciclaggio e frode; reati commessi su indicazioni del capo dell’azienda per cui lavorava, il quale però la farà franca al processo, scaricando tutta la colpa su di lei. Di indole remissiva, quanto facilmente soggetta alla manipolazione altrui, Macarena è una gazzella gettata in una savana ostile pronta venire divorata da un branco di leoni, se non riuscirà ad adattare sé stessa con spirito camaleontico al nuovo contesto, mettendosi alla prova giorno dopo giorno, emancipandosi totalmente dalla guida altrui, a partire dai propri genitori.

“A trent’anni mi sono resa conto che sono nata ieri e che la vita vale davvero.”
Macarena Ferreiro
Stagioni 1 e 2
La serialità consente ai creatori di poter costruire un “worldbuilding” carcerario, variegato nelle location (docce, sala mensa, attività ricreative, palestra, parlatorio etc…) e sfaccettato nei profili psicologici dei personaggi, sfruttando il classico schema della narrazione parallela tipica di molte serie TV, introducendo poco a poco il folto cast delle detenute, che ruotano attorno a Macarena, dove alcune si mostrano a suo favore, come la lesbica di colore Estefania Kabila (Berta Vazquez) e l’anziana compagna di cella Soledad Nunez (Maria Isabel Diaz), mentre altre le sono ostili, su tutte Anabel Villaroch (Inma Cuevas), a capo del contrabbando carcerario, passando per personalità ambigue, inclassificabili e sfuggenti come l’araba Zulema Zahir (Najwa Nimri), un’ergastolana violenta di indole anarcoide, sempre alla ricerca di un modo di evadere, venendo spalleggiata nelle sue macchinazioni dalla gitana Saray Vargas (Alba Flores).
Ad eccezione di Maggie Civantos per ovvi motivi narrativi, la produzione spagnola ha portato a scelte di casting per lo più azzeccate tra le attrici, che devono impersonare le detenute, cercando di bilanciare le dovute esigenze di fotogenia, con la credibilità nei ruoli chiamati ad interpretare; notevole il risultato di Marta Aledo nei panni di Teresa Gonzales, una tossicodipendente cronica dall’aspetto trasandato, capelli disordinati, con viso e denti rovinati dall’assunzione di droghe, ben messi in mostra d una macchina da presa, atta a non voler censurare nulla di un personaggio sgradevole a vedersi, che sarebbe stato alquanto impensabile vedere in una serie americana.
Il gusto della componente thriller di Alex Pina miscelato alle dinamiche familiari, in “Vis a Vis” viene catalizzato, – nelle prime due stagioni almeno -, in una forte critica sociale nei confronti delle modalità di gestione dell’istituzione carceraria, un luogo dove nessuna detenuta mostra dei segnali tangibili di riabilitazione, poiché anche le poche che vorrebbero scontare la pena stando fuori dai guai, come Macarena, alla fine sono costrette a diventare delle “bestie”, per poter sopravvivere in un luogo dove le carcerate sono lasciate a loro stesse, a causa soprattutto di una direttrice incapace di applicare le condizioni umane di detenzione da lei professate e del personale carcerario, composto per lo più da secondini violenti, conniventi e corrotti, senza dimenticare di citare il dottore della struttura Sandoval (Ramiro Blas), dall’indole affabile quanto gentile, ma in realtà celante una personalità sadica nei confronti delle detenute.
Violenza fisico-psicologica, sopraffazione, tossicodipendenza e minacce, sono elementi all’ordine del giorno a Cruz del Sur, in cui l’unica regola è un processo costante di selezione darwiniana, dove il forte mangia il debole, in uno schema tipico della stato di natura amplificato dalla claustrofobia del luogo, che lungi dall’attenuare gli stinti negativi umani, finisce con l’amplificarli, così che ogni detenuta sarà pronta a sfoderare gli artigli, per quanto innocente possa apparire.
“Vis a Vis” descrive un ambiente carcerario duro, dove la gestione privata viene attaccata in modo frontale, perchè preoccupata solo di massimizzare i profitti di gestione, riducendo al minimo le spese per il mantenimento delle detenute, rifilando loro un trattamento degradante e cibi scadenti – quando non scaduti direttamente – , con uno sguardo negativo, senza edulcorazioni di una realtà, in cui l’essere umano per andare avanti, deve dare il peggio di sé, pregiudicando qualsiasi istanza di riabilitazione, arrivando addirittura a cambiare inconsciamente i propri istinti sessuali, passando da eterosessuale a lesbica, per poter ricercare un pò di affetto in una location austera e priva di qualsiasi umanità.
Violenza e nudità sono usate nelle giuste dosi, senza spettacolarizzazioni o eccessi, nonostante non manchino le scene crude, senza dubbio le prime due stagioni, nonostante alcune sotto trame più deboli di altre – specie quelle ambientate fuori dal carcere -, rimangono fedeli ai presupposti di partenza, la cui carica di denuncia viene amplificata dagli inserti da docu-inchiesta, dove la singole detenute ad ogni puntata rivelano in modo schietto e sincero i loro pensieri più disparati sull’ambiente carcerario; un’urgenza espressiva rimarcata dalla recitazione colloquiale quanto spontanea delle attrici, abili ad improvvisare il tono delle battute, senza essere artificiose.
Le divergenze dal cammino iniziale, cominciano dalla cancellazione della serie dopo la seconda stagione, così che Netflix, complice il successo delle prima stagione della “Casa di Carta”, decida di acquistare i diritti di trasmissione della serie, finanziandone al contempo il prosieguo per altre due stagioni.

“Io non avrò mai una vita normale, ma il fatto è che non la voglio. Non voglio la vita di tutta questa gente, non voglio un lavoro con dodici mensilità e due buste paga extra. Non voglio un cane con il chip, due figli maschio e femmina, un mutuo per trentotto anni, le vacanze d’agosto e le code per andare al mare. Non voglio bere solo il sabato e una scopata a settimana. Io amo la vita, quella vera.”
Zulema Zahir
Stagioni 3,4 e spin off
Queste vicissitudini produttive hanno portato ad una terza stagione, che più che configurarsi come un seguito diretto della precedente, diventa a tutti gli effetti un “soft reboot”, ambientando la storia nel carcere di Cruz del Norte, cambiando non solo quindi la location, ma anche parte del cast, con la scusa di un trasferimento detenute causa sovraffollamento della struttura in cui fino ad ora erano rinchiuse.
Questo ha comportato il troncamento di varie sotto trame, che mai verranno risolte, lasciando in sospeso i destini di taluni personaggi qui assenti, mentre altre linee narrative come la relazione sentimentale tra la guardia carceraria Fabio e la protagonista Macarena, verranno chiuse con una scenetta flashback di nemmeno un minuto. Si sente la mancanza di Alex Pina in fase creativa, oramai dedito alla sua nuova creatura prediletta, lasciando spazio a Ivan Escobar, che non ha la stessa perizia nella scrittura del suo collega, né l’originalità nelle idee, che oramai cominciano ad essere viste e viste nei meccanismi.
La produzione Netflix ha portato ad una standardizzazione creativa, infatti le due stagioni finali, sono costituite da 8 episodi a testa contro gli 11 della prima ed i 13 della seconda, con la durata predefinita di 50 minuti per ogni puntata, conducendo ad una standardizzazione industriale, che si percepisce in un netto stacco di tono, dove la componente di denuncia civile mescolata al thriller, viene messa da parte a favore di toni pulp di matrice americana.
Sangue e violenza aumentano di pari passo con personaggi divenuti oramai caricature esasperate nelle loro caratterizzazioni psicologiche; se la scelta delle cinesi come antagoniste nella terza stagione cozza pesantemente contro l’idea di istituzione carceraria come nemico, il ripescaggio di Sandoval, come grande nemico nella quarta stagione, risulta tardivo quanto fiacco nell’impostazione.
Tali indecisioni, sono probabilmente dovute anche al fatto di mettere da parte in queste due stagioni finali il personaggio di Macarena, causa impegni dell’attrice in altre produzioni, promuovendo a protagonista Zulema, la quale era un eccellente comprimario sino ad ora, ma nel ruolo principale risulta vittima di virtuosismi di scrittura, che ne esasperano le azioni, alla lunga ripetitive per poi divenire poco credibili, un’agente del “caos” troppo programmatico in fase di stesura, finendo con il risultare una figura artificiosa, un’anima “punk” e ribelle creata a tavolino per acchiappare il pubblico di bocca buona, ma poco spontanea nella costruzione, finendo poi con il farne una sorta di “Joker” schizzato nelle due puntate, citandone parzialmente il look.
Qualcosa da salvare c’è sempre, partendo da Najawa Nimri capace di tenere comunque su la baracca quando le viene consentito, tramite qualche monologo intimista, oppure tramite la rappresentazione di qualche lato inedito del proprio personaggio, costretto a dover prendere la scena spesso a causa impalpabilità delle nuove aggiunte del cast, di cui si salva in parte solo Goya Fernandez (Itziar Castro), una detenuta dall’aspetto gigantesco, con un fisico sfatto dall’obesità estrema, ma dall’indole estremamente pericolosa, soggiogando molte detenute obbligandole a farle dei servizietti, mentre da bocciare sono le aggiunte di Altagracia Guerrero (Adriana Paz), esemplificazione del concetto di estremizzazione inutile nei toni di questo nuovo corso della serie e di Mercedes Carrillo (Ruth Diaz), ex consigliera comunale finita in carcere per corruzione, ma dall’indole troppo ingenua per chi è stata a lungo nell’ambiente politico come lei, una sorta di nuova “Macarena”, ma con molto meno interesse e utilità narrativa, chiudendo il suo arco narrativo in modo frettoloso da parte del team creativo, che evidentemente non sapeva cosa farsene del personaggio. Il finale grossomodo chiuderà molte linee narrative, lasciando aperte le conclusioni sui destini di Macarena e Zulema, protagoniste dello spin off “Vis a Vis: l’Oasis”, dove in realtà a conclusione del tutto le domande saranno più delle risposte effettive, causa anche l’essersi lasciati alle spalle l’ambientazione carceraria, per farne una sorta di western contemporaneo incentrato attorno ad una rapina, venendo quindi da chiedersi se non sarebbe stato meglio aggiungere un paio di episodi alla quarta stagione, chiudendo in tal modo la serie con i giusti tempi e coerenza. Ennesima serie TV incapace di sopravvivere come si deve al proprio successo? Molto probabile, però testimone di una Spagna capace di abbandonare il modello “telenovelas”, per battere nuove strade creative, in grado di creare fenomeni da esportazione in tutto il mondo, lanciando alla notorietà tutta una serie di attrici e creativi, di cui sentiremo ancora parlare nei prossimi tempi.