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Recensione – I dannati, scritto e diretto da Roberto Minervini

Torna al cinema il regista Roberto Minervini, con la sua nuova pellicola. Nell’articolo la trama ufficiale e la recensione de “I dannati”.
La recensione de I dannati, scritto e diretto da Roberto Minervini

Presentato in anteprima mondiale alla settantasettesima edizione del Festival di Cannes, sezione Un Certain Regard; distribuito nelle sale cinematografiche italiane il 16 maggio 2024. Ma qual è il risultato de I dannati? Di seguito la trama ufficiale e la recensione del film di Roberto Minervini.

I dannati, la trama del film di Roberto Minervini

Di seguito la trama ufficiale de I dannati, diretto da Roberto Minervini:

Inverno 1862: nel pieno della guerra di Secessione, l’esercito degli Stati Uniti invia ad ovest una compagnia di volontari con il compito di perlustrare e presidiare le terre inesplorate. La missione travolge un pugno di uomini in armi, svelando loro il senso ultimo del proprio viaggio verso la frontiera.”
La recensione de I dannati, scritto e diretto da Roberto Minervini

La recensione de I dannati, presentato al Festival di Cannes 2024

La drammaticità della guerra, e le sue conseguenze, è stata messa in scena innumerevoli volte, caratterizzate da differenti impronte stilistiche, a loro volta condizionate dai diversi approcci al tema; in questo caso, l’attenzione è concentrata quasi esclusivamente sull’interiorità dei protagonisti, privilegiandone lo stato d’animo, i dubbi, le angosce e le sofferenze. L’espediente narrativo con cui si dà inizio alla storia raccontata, già di per sé basterebbe per argomentare una delle possibili chiavi di lettura interpretative della tematica principale: una spedizione nelle terre sconosciute dell’Ovest statunitense, composta da volontari unionisti, a Guerra di Secessione appena cominciata, l’ambientazione temporale risale infatti al 1862; la missione non ha quindi un obiettivo preciso, i protagonisti devono vagare verso l’ignoto, senza avere la minima idea su ciò che potrebbero trovarsi davanti, esattamente lo stesso effetto che provoca la guerra alle persone, non si sa minimante dove potrebbe portare, non si può prevedere cosa è in grado veramente di lasciare a chi l’affronta in prima persona.

Le inquadrature sono strette e ravvicinate, ad una prima impressione parrebbero fuori luogo e non idonee a valorizzare il contesto ambientale incontaminato della natura, al contrario si dimostrano perfettamente coerenti e funzionali all’idea di base dell’opera stessa; identità registica che abbraccia lo stile del cinema-verità documentaristico, molto simile a quello utilizzato dalla cineasta premio Oscar Chloe Zhao, capace di focalizzare le paure di personaggi. Quest’ultimi, coi loro sguardi e le loro espressioni, comunicano il desiderio di non voler essere dove si trovano, è questo ciò che lega tutti loro, a prescindere dalla loro provenienza, dal credo religioso o dalla loro età anagrafica; la guerra strappa l’anziano dal meritato riposo dopo una vita dedicata interamente a lavorare, mentre al giovane viene tolta la speranza di fare progetti, viene tolto il tempo di studiare e di passare le ore ad innamorarsi. Una cifra stilistica idonea a creare immedesimazione tra il pubblico e i personaggi: lo spettatore si sente partecipe della vicenda, anch’egli sta viaggiando attraverso la natura e percepisce l’ascolto del dialogo come se fosse direttamente coinvolto nella conversazione.

Minervini gestisce sapientemente l’impiego della macchina a mano, soprattutto nell’unica, ma incisiva, sequenza di sparatoria del film, confermando come già detto pocanzi la situazione immersiva di chi guarda, non cadendo mai nella confusione visiva, equilibrando il ritmo e lo spazio delle figure presenti; la suddetta scena squarcia la barriera del silenzio, regnante fino a pochi istanti prima, che però non corrispondeva ad un senso si pace e tranquillità, ma alla calma inquietante, preludio di un evento catartico imminente, ma soprattutto inevitabile. Per scaturire uno scontro bellico è ovviamente necessario che vi sia qualcuno dall’altra parte della barricata: per l’occasione si sceglie un espediente alla Dunkirk (2017) di Christopher Nolan, non mostrando il volto dei nemici; decisione rischiosa per la sua ambiguità, da cui potrebbero nascere diverse interpretazioni e non sempre positive.

Ad esempio, si potrebbe pensare che non sia necessario mostrarne le facce poiché a prescindere da chi si combatta, la guerra è e rimarrà sempre un orrore disumano; dall’altra parte però si rischia di patteggiare per una parte sola, poiché difficilmente si riesce ad empatizzare con chi non si vede, cadendo quindi, anche involontariamente, nella trappola del manicheismo. Ma l’aspetto meno convincente di tutti è il finale, troncato quasi di netto, come se il nastro della pellicola fosse di punto in bianco finito, venendo a mancare di organicità nella chiusura, lasciando si conseguenza il discorso non finito, incompiuto, decisamente non all’altezza di quello che è stato fino a quel momento.

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La recensione de I dannati, scritto e diretto da Roberto Minervini
I dannati
I dannati

"Inverno 1862: l'esercito invia una compagnia di soldati volontari in perlustrazione verso gli Stati dell'Ovest. La loro missione è quella di pattugliare le regioni inesplorate."

Voto del redattore:

8 / 10

Data di rilascio:

16/05/2024

Regia:

Roberto Minervini

Cast:

Jeremiah Knupp, Cuyler Ballenger, René W. Solomon, Noah Carlson e Timothy Carlson

Genere:

Western

PRO

Utilizzo sapiente della macchina a mano coerente con la tematica del film
L’introspezione dei personaggi nel contesto bellico
Grande profondità dei dialoghi
La scelta stilista nel rappresentare i nemici può risultare controversa
Il finale è nettamente tronco