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Suspiria (2018) è una rivisitazione eccelsa, ma soprattutto necessaria

Rivisitazione moderna di un classico del genere horror, il Suspiria di Luca Guadagnino ha fatto tanto parlare di sé: ma com’è effettivamente il film del 2018?
Recensione film Suspiria (2018)

Suspiria è un film horror del 2018 diretto da Luca Guadagnino, autore che si è prodigato in un’impresa tutt’altro che facile, ovvero rivisitare l’omonimo lungometraggio di Dario Argento risalente al 1977. Distribuito nelle sale cinematografiche italiane il 1° gennaio 2019, Suspiria presenta una durata di 152 minuti (mentre l’originale ne dura 92 circa), e ha un cast davvero formidabile composto da attrici quali Dakota Johnson, Mia Goth, Tilda Swinton e Chloë Grace Moretz. Questo film di Guadagnino è stato proiettato in anteprima mondiale alla 75esima edizione del Festival di Venezia, e per di più in concorso. Trattandosi un lavoro alquanto audace: com’è effettivamente il Suspiria del 2018? Di seguito la recensione del remake.

La trama di Suspiria (2018), film di Luca Guadagnino con Dakota Johnson

La trama di Suspiria (2018) è di base la stessa dell’originale di Dario Argento, quindi questa storia dell’orrore è ambientata in Germania e negli anni ’70. La protagonista è una ballerina americana di nome Susie Bannion, qui interpretata da Dakota Johnson – mentre nel classico del 1977 nel medesimo ruolo c’è di Jessica Harper -, la quale si iscrive alla Tanz Akademie. Si tratta di un’accademia di danza tra le più prestigiose in assoluto non solo in Europa ma nel mondo intero, soltanto che sin dal suo arriva Susie nota delle stranezze agghiaccianti. Più va avanti tra le mura della scuola più la protagonista comprende che dietro la sparizione delle studentesse ed il comportamento ambiguo delle insegnanti ci sono le forze dell’occulto.

La recensione di Suspiria (2018), rivisitazione eccelsa e necessaria

Progetto ambizioso quello di Luca Guadagnino nel riprendere uno dei capolavori del cinema horror per restituirne una nuova trasposizione, la qual sin da subito appare differente nell’estetica quanto nelle intenzioni. La sceneggiatura di David Kajganich segue una strada maggior se vogliamo ancor più stratificata ed esposta, politicamente parlando, mentre le musiche originali di Thom Yorke contribuiscono ad accentuare il tono “allucinato” e deformato del lungometraggio. Inoltre, il trucco di Mark Coulier (tre volte premio Oscar) risulta decisivo e, per concludere, il montaggio del fedele Walter Fasano si proclama la vera colonna portante di Suspiria. Il film horror del 2018 è costituito da un insieme di raffinatezze per cui diventa facile accostarsi a definizioni altisonanti, specie perché si sta facendo riferimento ad un remake di un caposaldo come quello realizzato da Dario Argento nel 1977. Un capolavoro di un capolavoro, una rivisitazione eccelsa e soprattutto necessaria per la chiave moderna con la quale Guadagnino rielabora il soggetto. E, come anticipato, tale affermazione la si deve alla combinazione tra la sceneggiatura e gli altri reparti, poiché l’ambientazione storica, la scenografia e le varie coreografie si ergono a veri e propri snodi narrativi in grado di comunicare informazioni relative ai personaggi, alla loro condizione psicofisica.

Il muro di Berlino è soltanto uno dei risultati prodotti dalla Seconda Guerra Mondiale, eppure scavando in profondità il senso di colpa prende il sopravvento sia nel personale (il dottor Jozef Klemperer) che nella collettività (Germania), dunque in Suspiria prevalgono i contrasti, le gerarchie, le imposizioni, gli sguardi e le immagini mentali. Infatti, la divisione interna non riguarda soltanto la città, ma anche la sfera delle streghe – frazione Blanc; frazione Markos – e persino l’emotività di alcuni personaggi in particolare, come il dottor Klemperer, a metà tra il desiderio di riscatto e il rimpianto per il destino di sua moglie, e Sara (Mia Goth), dubbiosa al punto da non sapere più a chi e a cosa credere. Se sul piano estetico primeggia il grottesco del trucco sul volto degli attori, sul piano della narrazione c’è un conflitto nel ritmo, per cui in determinate sequenze prevale un’angosciante lentezza mentre in altre il susseguirsi delle inquadrature è talmente rapido da rendere la visione ad un passo dall’allucinazione. Emblematiche da questo punto di vista le scene del balletto Volk, prima quella dove Susie prova da sola e poi quella dove la coreografia viene presentata nell’insieme ad un pubblico, e l’utilizzo del montaggio alternato mette in evidenza il rapporto di causa-effetto, nella fattispecie su Olga e Sara. Nel primo caso Walter Fasano genera un piccolo miracolo creando dei campi e controcampi in due spazi differenti ma simultanei. Nel secondo caso i contrasti si palesano assumendo un’accezione molto vicina al montaggio delle attrazioni di Ėjzenštejn al fine di scaturire la riflessione nello spettatore, oltre che un’imponente tensione emotiva dettata dallo scambio di sguardi tra la Blanc e il dottore (sempre Tilda Swinton), tra la Blanc e Susi, la quale ad un certo punto ha un cambio di colore degli occhi (da azzurri a castani) e decide di improvvisare, e tra le streghe e Sara, che entra in scena come se fosse posseduta (occhi da castani ad azzurri). Altamente suggestiva anche la trasmissione notturna dei sogni dalle streghe a Susie, poiché tramite un’onirica sequenza di montaggio le immagini entrano in collisione e svelano particolari da cogliere con attenzione.

La percezione è una costante nel cinema di Guadagnino, una percezione individuale legata ad un gioco di sguardi e di seduzione con l’uso dei corpi. Di conseguenza nessuno meglio di lui poteva mettere in scena il senso stesso dell’esoterismo offrendone una connotazione addirittura erotica, associando i sospiri all’atto sessuale, come svela proprio Susie alla Blanc affermando di avvertire qualcosa di particolare durante la danza. La femminilità delle attrici diventa un’arma fondamentale per ristabilire l’ordine dopo la drammatica devastazione bellica: la guerra viene fatta dagli uomini, e in una società patriarcale le donne sono rilegate ai margini. Ecco allora che la rivisitazione del regista italiano di Suspiria diventa necessaria, poiché struttura in forma allegorica un discorso universale da inserire in un horror, ribalta il ruolo delle streghe, in particolare quello di Susie come Mater Suspiriorum e fornisce una risposta di grande sensibilità. Nel suo film è l’amore la vera potenza politica, quel sentimento talmente “pieno” da superare la colpa, il tempo e la Storia stessa, e l’ultimo effetto ottico nell’ultima inquadratura è guarda caso un zoom ad entrare nel cuore che unisce al suo interno le lettere di due nomi, ossia il dottore e sua moglie. Nel Suspiria del 2018 vengono sparsi indizi lungo il “cammino” del racconto, e lo si capisce fin dall’incipit perché quando Susie entra in scena il titolo del film non compare in sovraimpressione ma è contenuto nel tabellone luminoso della metropolitana. La costruzione, la duplicazione e la deformazione delle immagini tramite determinate scelte di montaggio stimolano i sensi, i suoni e le voci talvolta scorrono autonomamente mentre le inquadrature mostrano altro, un’apparenza forzata per nascondere dentro di sé una natura incanalata in un costante ma graduale emersione.

La stessa protagonista, la Susie Bannion di Dakota Johnson, vive un percorso di crescita personalissimo dettato da un’infanzia traumatica che si scontra con l’acquisizione di una nuova percezione del mondo all’interno della scuola di danza, portandola alla scoperta di un potere innato dentro di sé (da bambina vuole già andare dagli Stati Uniti a Berlino), formato da compassione e amore, in grado di legare le ferite individuali a quelle della Storia. Gli anni ’70, d’altronde, sono segnati dalla rivoluzione femminista sul fronte occidentale, e Susie è un personaggio così tridimensionale da ricordare una qualunque tormentata eroina del cinema di Fassbinder. In virtù di quanto descritto, lei ha il dovere di perpetuare la colpa e i ricordi nel tempo, così come il dottor Klemperer contribuisce a determinare la realtà tramite la memoria della defunta moglie. Il finale, contraddistinto dal gore e dalla trasformazione dei corpi sulla scia di Cronenberg, segna una violenta presa di posizione da parte di una madre che da un lato ha pietà delle sue figlie – concedendo loro un desiderio, la richiesta di morte -, ma dall’altro le punisce perché si sono messe l’una contro l’altra dividendosi in frazioni con tanto di autoproclamazione: Helena Markos si è imposta egoisticamente, e “una madre è una donna che può sostituire tutti ma che è insostituibile”. Sul filo del rasoio si muove lo sfondo politico del film in quanto il 1977 è l’anno dei violenti attentati terroristici della RAF, per cui anche in questo c’è un profondo legame tra gli eventi del racconto e quelli della Storia. Quest’ultima insegna che ciascun rovescio di potere e ogni affermazione di una nuova gerarchia passa attraverso la violenza; allora il sangue diventa protagonista nel finale prima della “riconciliazione”, ed è veicolato attraverso una danza allucinata che ricorda nel linguaggio il calo dei frame presenti in alcuni videoclip.

Il significato di Suspiria (2018)

In Suspiria di Luca Guadagnino il doppio assume un significato imprescindibile e viene palesato sia verticalmente (stanza di sopra – stanza di sotto) che orizzontalmente attraverso gli specchi, mentre lo scambio di informazioni viene fornito, come ampiamente detto, tramite il montaggio – soprattutto quello alternato – e il meccanismo di raccordi (soprattutto sonori). La finalità è di annullare il confine tra naturale e sovrannaturale, tra la percezione concreta e tangibile del corpo e quella potenzialmente illusoria della mente, ma per far ciò il regista e Walter Fasano collaborano per fornire un qualcosa che vada oltre lo sguardo. Le streghe agiscono nell’ombra e mostrano una facciata, pertanto in molteplici occasioni le si vede ridere tra loro, anche senza parlare (le immagini), ma al contempo stanno portando avanti un’oscura conversazione (i suoni delle parole).

Suspiria (2018) è dunque un film nel quale la memoria è al centro del racconto e della Storia, che può essere portatrice di colpe e dolori così come d’amore, può essere indotta (come nei sogni), negata (si chiede a Susie di dimenticare la madre biologica) e cancellata (Susie la cancella al dottore nel finale) nel momento in cui genera un punto di rottura nella psiche. In questa nuova fase successiva alla trilogia del desiderio (iniziata con Io sono l’Amore, proseguita con A Bigger Splash e conclusa con Chiamami col tuo nome) per Guadagnino la percezione e la realtà, in maniera del tutto contemporanea, si manipolano l’un l’altra frammentando lo sguardo individuale e quello collettivo. La portata di tale processo si conclude dopo aver dato vita a quelle paure difficilmente accettate e a quegli istinti repressi a causa della società, portando alla luce la speranza sradicandola dal buio primordiale: Suspiria è un modo di fare cinema necessario per lasciarci interrogare, interpretare e riflettere, ragione per la quale difficilmente, a proposito di memoria, un film così verrà dimenticato.

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Recensione film Suspiria (2018)
Suspiria
Suspiria

Remake dell'omonimo film di Dario Argento (1977), il Suspiria del 2018 di Luca Guadagnino rivista l'opera originale e aggiunge elementi nuovissimi. La storia è di base la stessa, con la protagonista Susie Bannion che si iscrive ad una scuola di danza: le forze occulte entrano in gioco e accadono eventi misteriosi.

Voto del redattore:

10 / 10

Data di rilascio:

01/01/2019

Regia:

Luca Guadagnino

Cast:

Dakota Johnson, Tilda Swinton, Mia Goth, Lutz Ebersdorf, Jessica Harper, Chloë Grace Moretz, Angela Winkler, Sylvie Testud, Renee' Soutendijk, Ingrid Caven, Malgorzata Bela

Genere:

Horror

PRO

Il tono “allucinato” sia nell’estetica che nella narrazione
L’inserimento del discorso sulla memoria nella Storia
Il legame tra il racconto e lo scenario politico
Il montaggio di Walter Fasano
Nessuno