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Pulse (Kairo) è uno dei migliori horror di sempre

Tra i titoli più discussi nell’ambito dell’horror c’è un film giapponese intitolato Pulse (Kairo): l’opera di Kiyoshi Kurosawa merita l’alta considerazione di cui gode?
Pulse (Kairo) recensione del film horror giapponese 2001

Ci sono tantissimi titoli che caratterizzano il genere horror, molti provengono dall’Oriente e vengono poi “occidentalizzati” dai produttori statunitensi per vendere di più. Il caso di Pulse (in originale Kairo) è lampante, poiché si tratta di un film scritto e diretto da Kiyoshi Kurosawa, rilasciato nel 2001, di cui è stato realizzato un remake americano nel 2006, appena 5 anni dopo. Il titolo in questione è uno di quelli ad essere maggiormente “chiacchierati” sia dai cinefili che dagli appassionati dei film dell’orrore, ma consumata oggi l’opera del noto cineasta nipponico merita l’alta considerazione di cui gode? Segue la recensione di Pulse (Kairo).

La trama di Pulse (Kairo), film horror di Kiyoshi Kurosawa

Vincitore del premio FIPRESCI nella sezione Un Certain Regard alla 54esima edizione del Festival del Cinema di Cannes, Pulse (Kairo) ha una trama alquanto particolare dove un gruppo di amici resta coinvolto in una vera e propria tragedia: uno del gruppo si è improvvisamente tolto la vita, ma non vi sono apparenti motivi a giustificare il drastico gesto. A tutti loro cominciano ad accadere eventi inquietanti, particolari, come per esempio la comparsa di sinistre ombre sui muri e di un materiale video riproducibile da computer. Al termine di quest’ultimo viene posta una domanda: “vuoi incontrare un fantasma?”.

La recensione di Pulse (Kairo), ovvero uno dei migliori horror di sempre

Pulse (Kairo) è uno dei migliori film horror di sempre, un capolavoro del cinema perché Kiyoshi Kurosawa si dimostra qui fenomenale nella costruzione della narrazione attraverso le immagini, i suoni e le parole. Si tratta di un’opera totale in grado di avvolgere chiunque in un racconto profondo in termini drammaturgici e terrorizzante per come riesce a indurre la tensione. Si tratta di un modo brillante di fare cinema di genere senza sacrificare il contenuto, senza dover cedere alla stesura di una trama banale da vendere facilmente, ma piuttosto curando al meglio la composizione delle inquadrature. Infatti, all’interno dei “quadri” Kurosawa inserisce elementi significativi collocando ciascuno in una posa ben ragionata, in modo tale da ampliare il numero di connotazioni relative ai soggetti e agli oggetti, sia in campo che fuori campo. In molteplici occasioni si osservano i personaggi stretti – fisicamente, psicologicamente e moralmente – in una morsa, così come un semplice bicchiere in una ripresa di quinta viene disposto esattamente tra due bottiglie di vetro; il procedimento è lo stesso, così come la percezione di star assistendo ad una vicenda fortemente claustrofobica.

Anche le allegorie, tanto care al linguaggio cinematografico, sono qui presenti per far emergere il significato di Pulse (Kairo) in tempi dilatati, e con un ritmo che finge di essere lento quando in verità è talmente intriso di elementi e trucchi di montaggio da rendere la visione struggente. L’emblema è proprio la tematica esistenzialista e la maniera con la quale viene correlata alle immagini manifestate, nonché alle parole pronunciate da chi è in scena. Il film horror di Kiyoshi Kurosawa si prende la briga di esporre una tesi (la vita) e un’antitesi (la morte) per elaborare un contenuto fortemente contemporaneo in grado di far riflettere sulla diffusione e gli usi di Internet nella società a cavallo tra il vecchio ed il nuovo secolo. Pulse (Kairo) è datato 2001, eppure se lo si guarda con gli occhi del presente si riesce ad avvertire l’esasperazione del discorso imbastito dal cineasta nipponico oltre 20 anni fa. La società attuale e quella descritta da Kurosawa nel film sono praticamente la stessa, per cui l’esistenza odierna risulta alienante per ciascun individuo e appare contradditoria: le opportunità di Internet non avvicinano le persone, ma al contrario sgretolano la comunicazione e unificano i processi identitari in favore di un’omologazione fittizia.

Il regista sottolinea come uno schermo di un computer possa catturare e inserire in un loop infinito dei pallini che si scontrano tra loro e si allontanano; un movimento accennato che sembra precludere un incontro che in realtà è troppo fugace, dunque comporta un nuovo distacco e l’eterno isolamento. Con le immagini carpiamo il significato di Pulse (Kairo), mentre sul piano verbale i personaggi si interrogano sulla vita stessa e sulla tragedia della morte, si sentono per l’appunto soli e indifferenti alle relazioni personali. Kiyoshi Kurosawa sviluppa la semantica di quanto descritto costruendo l’horror attraverso l’inserimento di suoni diegetici ed extradiegetici (quelli elettronici su tutti), con l’uso dei segni come le sovrimpressioni e le dissolvenze, ed infine con il dispiegarsi del contrasto tra luci e ombre. Il finale del film lascia trasparire la tragedia con il ripudio della vita in una grande metropoli (che dovrebbe essere maggiormente stimolante?) in preda alla devastazione, ma è il personaggio di Michi ad assumere un’accezione differente che deriva dall’approccio giapponese all’esistenza: i fatti vanno accettati ed elaborati per godersi i momenti del presente con serenità (vedasi il cinema di Ozu). Viceversa tutti i personaggi (o quasi) non accettano di diventare con la morte presenze bloccate in un’altra dimensione (la stanza proibita), non amano la vita che si trovano a condurre e finiscono con l’essere disperati al punto da abbandonare se stessi abbracciando, prima del gesto estremo, un vuoto illusorio.

Pulse (Kairo) è un film così maturo da riuscire a trasmettere la paura per ricordarci che provando qualunque forma di emozione e di sensazione siamo in qualche modo legati alla vita, e di fatto parallelamente alla struttura cinematografica dell’horror risale in superficie l’esistenziale dramma umano: cosa c’è dopo la morte? Esiste un rapporto tra i due mondi? Kurosawa non può fornire una risposta agli eterni interrogativi, ma costruisce una sublime allegoria sulla solitudine per suggerire di lasciarsi andare all’accettazione di un evento inevitabile (l’ignoto) al quale sarebbe preferibile arrivare soltanto dopo aver vissuto appieno (il noto). Per far ciò il regista non nasconde agli spettatori di aver fatto un film, quindi se per buona parte del lungometraggio si vedono gli schermi dei computer come dei quadri in grado di intrappolare dei puntini, alla fine invece con un zoom ad uscire ci si allontana dall’ultima inquadratura. L’artificio con cui Kurosawa ha dunque rinchiuso i suoi personaggi viene svelato per far posto ad un messaggio di speranza: l’angoscia, in ultima analisi, non deve portare al nichilismo.

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Recensione Pulse (Kairo) film 2001
Pulse (Kairo)
Pulse (Kairo)

Uno improvviso suicidio scatena una serie di eventi agghiaccianti che coinvolgono il gruppo di amici del ragazzo che si è tolto la vita in modo sospetto e apparentemente ingiustificato.

Voto del redattore:

10 / 10

Data di rilascio:

01/01/2001

Regia:

Kiyoshi Kurosawa

Cast:

Haruhiko Kato, Kumiko Aso, Koyuki, Kurume Arisaka, Masatoshi Matsuo, Shinji Takeda, Jun Fubuki, Shun Sugata, Shô Aikawa, Kôji Yakusho, Kenji Mizuhashi, Takumi Tanji, Hassei Takano, Atsushi Yuki, Go Takashima, Kaori Ichijo, Teruo Ono, Ken Furusawa, Akiko Kitamura, Zengoro Mamiana, Rie Yasuda, Masayuki Shionoya

Genere:

Horror

PRO

La tensione viene indotta tramite i trucchi del montaggio, i chiaroscuri della fotografia ed i suoni
L’elaborazione del tema dell’esistenzialismo tramite parole ed immagini allegoriche
La composizione delle inquadrature
Il messaggio nel sublime finale del film
Nessuno