Articolo pubblicato il 31 Gennaio 2025 da Gabriele Maccauro
L’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha stupito e rivoluzionato il concetto di festival cinematografico quest’anno: sono infatti presenti fuori concorso ben quattro serie tv dirette da autori acclamati e premiati in tutto il mondo. Una di queste è Dieci Capodanni, diretta dal regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen e con protagonisti gli straordinari Iria del Río e Francesco Carril. In Italia la serie verrà rilasciata su Rai Play, con i primi 5 episodi disponibili dal 31 gennaio e gli ultimi 5 una settimana più tardi, il 7 febbraio. A seguire, trama e recensione di Dieci Capodanni, il nuovo progetto del regista madrileno Rodrigo Sorogoyen.
La trama di Dieci Capodanni, con Iria del Río e Francesco Carril e presentata in anteprima a Venezia81
Prima di passare alla consueta analisi e recensione della serie tv, è bene spendere due parole sulla trama di Dieci Capodanni, la nuova serie tv di Rodrigo Sorogoyen con protagonisti Iria del Río e Francesco Carril e presentata in anteprima all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. A seguire, la sinossi ufficiale:
“Ana e Oscar hanno trent’anni e stanno per andarsene via. Oscar, intrappolato da un pessimo contratto medico, ha ancora una dipendenza dalla sua ex. Ana, senza compagno né lavoro, si sente persa e progetta di trasferirsi. Ma il 1° gennaio 2016 si conoscono, e andarsene perde di significato. Nel corso dei dieci anni successivi dovranno fare i conti col passare del tempo e con le decisioni che prenderanno”.

La recensione di Dieci Capodanni, diretta da Rodrigo Sorogoyen
C’è una grande incomprensione intorno alle opere di Rodrigo Sorogoyen. Da Che Dio ci Perdoni ad As Bestas passando per Il Regno, in molti lo hanno associato al genere thriller, sostenendo che è nella creazione della tensione, del ritmo e della suspence hitchcockiana che va ricercata la sua essenza, ma la verità è un’altra: ad oggi, non esiste regista che abbia saputo ereditare in maniera migliore gli insegnamenti di Rohmer e Cassavetes e che sia stato in grado di osservare con lucidità il contemporaneo – prendendo spunto da esso, come nel caso della trilogia Before di Richard Linklater – con una finestra sempre aperta sulla modernità, distinguendosi così come il più grande regista umanistico in circolazione. Come lo erano gli zombie per George Romero, anche il regista madrileno parte da un pretesto o genere qualsiasi non perché suo marchio di fabbrica ma perché il mezzo migliore, a seconda dei casi, per veicolare i propri messaggi, con il risultato che è sempre straordinario.
Ogni singola opera di Rodrigo Sorogoyen è legata da un fil rouge tanto semplice quanto complicato da trasporre su schermo, ovvero rappresentare e raccontare gli umori degli esseri umani. Per quanto difficile, l’unico modo per riuscire in questo arduo compito è quello di tuffarcisi senza remore, cercando di tirar fuori la più vasta gamma di emozioni possibili, contrapponendo la tenerezza agli angoli più oscuri dell’animo umano e facendo apparire il tutto quanto più possibile vero. Dieci Capodanni – la sua nuova serie tv presentata in anteprima all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – si incastra proprio qui, come sublimazione del suo pensiero artistico e, diciamolo, come grande dito medio a chiunque voglia sempre e costantemente incasellare ogni opera in certi schemi prefabbricati, dimostrando come a far la differenza non è tanto il grande o piccolo schermo quanto ciò che sia più congeniale al proprio scopo e, per questo tipo di racconto, la cadenza degli episodi, la dilatazione temporale e la gestione della narrazione all’interno di 10 puntate è esattamente ciò di cui c’era bisogno.
Il tempo, per l’appunto, gioca un ruolo cruciale se si vuole analizzare l’uomo ed i suoi comportamenti e l’idea di partenza – ovvero che ogni episodio sia il giorno di capodanno – è vincente in partenza, perché permette sì di concentrarsi sul rapporto tra Ana e Oscar – interpretati dagli straordinari Iria del Río e Francesco Carril – ma, ancor più, su tutto ciò che non è visibile, sul non detto, lasciando che sia non solo l’immaginazione quanto il cuore stesso dello spettatore a guidarlo, perché Dieci Capodanni parla di ognuno di noi e racconta eventi che affondano le unghie nel reale. E se in Before Midnight Richard Linklater citava l’eccezionale finale di Il Raggio Verde di Éric Rohmer, Sorogoyen omaggia il terzo capitolo della trilogia del regista texano con un ultimo episodio realizzato (quasi) interamente in una camera d’albergo, come fosse un purgatorio, una sorta di resa dei conti che sfida la capacità di ciascuno di noi di trattenere le lacrime. Perché alla fine è questo che fanno le grandi opere: ci ricordano che siamo vivi, facendoci vivere emozioni sopite, spingendoci ad affrontare noi stessi durante la visione, tra rabbia, risate e pianti disperati.