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Recensione – Quiet Life, il film di Alexandros Avranas

Il quinto film scritto e diretto dal regista greco Alexandros Avranas è una drammatica storia d’integrazione, che verte anche su una speciale Sindrome che ha particolarmente colpito la Svezia negli ultimi anni.
La recensione del film Quiet Life di Alexandros Avranas

Nella sezione Orizzonti dell’81a edizione della Mostra Cinematografica di Venezia viene presentato il nuovo film del regista Alexandros Avranas. Scritto e diretto dall’autore greco, Quiet Life è una drammatica storia d’integrazione di una famiglia immigrata nella Svezia del 2018, che mostra sullo schermo anche una particolare Sindrome che ha recentemente colpito in particolar modo proprio il Paese nordico. Si tratta del quinto film di Alexandros Avranas, il quale riuscì a farsi ben notare dalla critica internazionale già al suo esordio con Without nel 2008, per poi incantare il Festival di Venezia con il successivo Miss Violence, vincitore del Leone d’Argento per la regia e la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile a Themis Panou.

La trama di Quiet Life, il film di Alexandros Avranas

Su sceneggiatura dello stesso regista e di Stavros Pamballis, Quiet Life è ambientato nel 2018 e vede come protagonista una famiglia immigrata in Svezia che cerca in tutti i modi di realizzare la sua integrazione nel Paese. In particolare ecco la sinossi ufficiale del film:

Svezia, 2018. Una misteriosa sindrome che colpisce i bambini rifugiati sta suscitando preoccupazione tra medici e politici. Sergei e Natalia sono stati costretti a fuggire dal loro paese natale dopo un attacco che ha quasi ucciso Sergei. In attesa che l’Agenzia Nazionale per l’Immigrazione decida sulla loro domanda d’asilo, si stabiliscono in Svezia con le loro due bambine e fanno del loro meglio per condurre una vita normale. Lavorano sodo, mandano le figlie alla scuola svedese, imparano la lingua, si sottopongono a regolari ispezioni da parte delle autorità, tutto nella speranza di diventare un giorno cittadini svedesi. Ma quando la loro richiesta d’asilo viene respinta, Katja, la figlia più piccola, ha un collasso ed entra in un misterioso stato di coma. Di fronte a un dilemma morale, la resilienza di Sergei e Natalia verrà messa alla prova. Riusciranno a trovare la speranza per salvare le loro figlie?

La recensione di Quiet Life: il disumano rifiuto alla dignità di vivere

Tra i film che hanno incantato la precedente edizione del Festival del Cinema di Venezia si ricorda, in particolar modo, Io Capitano di Matteo Garrone e Green Border di Agnieszka Holland. Storie di sopravvivenza, del viaggio travestito da fuga per riuscire ad abbracciare una nuova vita, storie di immigrazione e dignità negata. Da questi pesanti e striscianti passi tenderebbe a ricominciare anche l’81° edizione della Mostra, con il quinto film dell’autore greco Alexandros Avranas che porta in scena una struggente vicenda famigliare legata proprio al disumano rifiuto alla dignità umana.

Il regista si fece già notare oltre 10 anni fa con Miss Violence, vincitore del Leone d’Argento per la regia e la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile, con il quale portò sullo schermo un’altra spaccatura del nucleo principale per l’essere umano. In tali vesti, tuttavia, il crudele racconto di Avranas puntava ad obiettivi più naturalistici ed universali mentre, con Quiet Life, tenderebbe a concentrarsi maggiormente sulla condizione socio-politica del numero di richiedenti asilo in continuo e costante aumento, soprattutto negli ultimi anni.

Un’emergenza alla quale il sistema non è ancora riuscito a trovare una solida soluzione, con il fenomeno che comporta con sé anche nefaste e concrete conseguenze direttamente sul piano fisico. Nel film di Avranas un semplice “no” porta infatti al coma profondo, un sonno dal quale non ci si vuole svegliare pur di fuggire da un mondo, da una realtà, ciecamente ostile. Sfruttando il drammatico fenomeno della Sindrome della Rassegnazione, si assiste così ad una totale perdita di speranza nello Stato (inteso come sistema), che porta a voler prendere le distanze da quella stessa parte dalla quale si cercava precedentemente una protezione.

Il regista greco carica così la narrazione sulla profonda sofferenza patita dalla famiglia di Sergei e Natalia, la quale non deve solo abbandonare il proprio Paese di nascita per una disumana caccia ai c.d. “dissidenti”, ma deve anche vedersi negato un diritto inviolabile in quanto essere umano. I russi immigrati in terra svedese lavorano sodo, le loro figlie sono regolarmente iscritte alla scuola pubblica, parlano con precisione la lingua e sono ben inseriti nel contesto nazionale, ma questo essenziale a quanto pare non basta ad una burocrazia sciaguratamente fredda.

Una semplice firma fa sprofondare infatti l’intera famiglia nella disperazione, con la vita che si tinge dei plumbei colori delle sale d’ospedale e delle ancor più algide stanze istituzionali. Esaustiva in tal senso l’ottima scelta della messa in scena di Avranas, che sollecita la logorante corsa contro il tempo e le laceranti condizioni psicofisiche dei personaggi in scena attraverso long take angoscianti, reiterati, siano essi a camera fissa o attraverso qualche sospirata carrellata. Un film che rilascia immagini emotivamente intense, alimentate dall’atmosfera asfissiante che la grande gestione del sonoro costruisce nella visione di Quiet Life, prediligendo spesso assordanti silenzi per far parlare le stesse immagini costruite con alta perizia geometrica.

Una storia quindi di dolore e di sentimenti dove, a riempire la scena e colpire vivamente nelle emozioni, è poi la struggente prova dell’intera famiglia protagonista. Tra i suoi membri è forse prevalente quella dell’afflitta madre interpretata da Chulpan Khamatova, la quale trasuda disperazione da ogni lacrima, sebbene Grigory Dobrygin e soprattutto le due giovani interpreti diano tutto per cercare di strappare una lacrima anche allo spettatore.

Come per Miss Violence il regista greco torna a raccontare una storia di violenza che distrugge il nucleo famigliare ma, se nel film del 2013 questa proveniva dall’interno, nel nuovo titolo presentato al Festival di Cannes proviene dai “piani alti”. Un disumano trattamento verso i richiedenti asilo (in numero costantemente maggiore) che viene fortemente additato da Avranas, attraverso una logorante critica al sistema intossicato dalla cieca burocrazia e dalla proverbiale incapacità di essere disposti a fidarsi e venire incontro al prossimo.

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Quiet Life
Quiet Life

Il quinto film del regista greco riprende la spaccatura del nucleo famigliare, questa volta a causa della disumana gestione del fenomeno migratorio, per una visione struggente ed intensa.

Voto del redattore:

9 / 10

Data di rilascio:
Regia:

Alexandros Avranas

Cast:

Chulpan Khamatova, Grigory Dobrygin, Naomi Lamp, Miroslava Pashutina, Eleni Roussinou

Genere:

Drammatico

PRO

Fermo e deciso l’affondo del regista nella critica alla disumana gestione del fenomeno migratorio.
Ottima l’algida messa in scena che fortifica una visione particolarmente asfissiante e lacerante.
Struggente la prova degli attori protagonisti che riescono a rilasciare disperazione ma anche caldi barlumi di speranza.
Nessuno.