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The Crow – Il Corvo: come finisce? La spiegazione del finale del remake con Bill Skarsgard

Tra i blockbuster di punta della seconda parte dell’estate cinematografica del 2024, il remake di Rupert Sanders è ora nelle sale cinematografiche italiane: qual è il significato del finale?
La spiegazione del finale di The Crow - Il Corvo, il remake diretto da Rupert Sanders

Destinato ad essere tra i peggiori flop commerciali e di critica di quest’annata cinematografica del 2024, il remake della pellicola del 1994, con Brandon Lee, firmato da Rupert Sanders (Biancaneve e il cacciatore) non ha riscontrato l’interesse del pubblico, salvo ribaltoni clamorosi nelle prossime settimane, eventualità alquanto improbabile. Prodotto da Lionsgate e distribuito nel mercato italiano da Eagle Pictures (qui trovate la recensione), il lungometraggio con protagonista Bill Skarsgard (John Wick 4) ha messo tutti d’accordo, in negativo, anche nell’ambiente della critica; ma come finisce The Crow – Il Corvo? Di seguito la spiegazione del finale del film tratto dall’omonimo fumetto di James O’Barr.

The Crow – Il Corvo, il finale del film di Rupert Sanders

ATTENZIONE!!! SPOILER!!!!

Eric ha portato a termine la sua missione pluriomicida, nelle acque del Limbo, le stesse in cui è affogato Vincent Roeg, emerge una mano, è quella di Shelly; viene tirata fuori dallo stesso Eric, giusto in tempo per dirsi addio per l’ultima volta. Dopo una manovra di rianimazione, Shelly si sveglia nel suo corpo, con a fianco quello del suo amato, ma privo di vita. Il montaggio delle sequenze successive alterna flashback del primo atto e situazioni future, con Shelly che è riuscita a cambiare vita e affermarsi come cantante; tutto con in sottofondo il voice over di Eric. Quest’ultimo si sta incamminando lungo il binario morto del Limbo, in teoria verso il suo eterno destino.

The Crow – Il Corvo, la spiegazione del finale del film

Come un cerchio che si chiude, il lungometraggio diretto da Rupert Sanders porta a termine il discorso che fin dalle premesse si è dimostrato essere il mantra: un senso totalmente distorto dell’amore, esprimendo fino all’ultima scena la tossicità, caratteristica di questo tipo di situazioni. L’esaltazione della vendetta efferata per raddrizzare i torti viene innalzata pericolosamente, sia nella sequenza d’azione che introduce il finale del terzo atto, sia nel modo di congedare il protagonista, dimostrandosi fuori fase e distaccato colpevolmente dalla realtà contemporanea. Un naufragio conclusosi nel peggiore dei modi, tra l’altro con una chiusura tronca sul suo vagare che vorrebbe millantare la possibilità di aprire un ciclo di saga cinematografica, per fortuna stroncata nettamente dal quasi totale disinteresse del grande pubblico, salvo clamorosi ribaltoni futuri.