Lo strano incanto di The Lighthouse che ingigantisce ombre bestiali

The Lighthouse è il secondo film scritto e diretto da Robert Eggers, per una profonda esperienza cinematografica fuori dal tempo e dallo spazio, dove una coppia di attori straordinari conferisce ulteriore vigore ad una messa in scena impeccabile.
Recensione del film di Robert Eggers The Lighthouse

Articolo pubblicato il 18 Febbraio 2025 da Vittorio Pigini

Presentato in occasione della Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2019, The Lighthouse è il secondo film scritto e diretto da Robert Eggers. A 4 anni di distanza dal suo formidabile esordio con The Witch, il regista continua a muoversi nei meandri del cinema dell’orrore, sebbene l’esperienza questa volta sia tanto diversa quanto fortemente legata alla precedente visione.

Con The Lighthouse si mette infatti in scena un horror psicologico surreale e grottesco, incentrato sulla sopravvivenza di due guardiani di un faro, costretti a vivere reclusi sull’isola a causa delle condizioni meteorologiche avverse. Una allucinogena ed allucinata spirale di follia, che vede protagonista una coppia di lusso come quella formata da Willem Dafoe e Robert Pattinson, alle prese con la prima collaborazione con il regista. Ecco di seguito la recensione di The Lighthouse, il secondo film horror scritto e diretto da Robert Eggers.

La trama di The Lighthouse

La sceneggiatura di The Lighthouse venne impostata dal regista e da suo fratello Max già prima dell’uscita di The Witch, ovvero quando la scrittura dell’esordio di Robert Eggers fu già pronta e si dovette cercare i fondi necessari per riuscire a realizzare il film. L’idea iniziale fu quella di adattare l’omonimo racconto di Edgar Allan Poe, narrando una gotica storia di fantasmi ambientata su un’isola, sebbene l’opera del celebre scrittore fu incompiuta a causa della morte prematura dello stesso autore.

Lo scheletro del racconto venne comunque preservato, fungendo da soggetto per The Lighthouse, sebbene il regista e suo fratello abbiano poi modificato ed arricchito la narrazione con elementi del folklore e fatti di cronaca, come verrà analizzato a breve. Per quanto concerne la trama del secondo film scritto e diretto da Robert Eggers, si potrebbe semplificare il tutto con una storia di sopravvivenza.

A lottare contro il tempo (cronologico e meteorologico) sono infatti il vecchio guardiano del faro Thomas Wake ed il suo giovane apprendista Ephraim Winslow. Quest’ultimo arriva a lavorare alla struttura per un periodo di un mese, su un’isola al largo del New England, ma l’ingaggio dovrà conoscere un inaspettato prolungamento a causa delle condizioni del mare che ha reso impraticabile la navigazione. Chiusi in uno spazio ristretto, senza via di uscita e con le provviste che si fanno sempre più scarse, i caratteri dei due uomini saranno destinati a scontrarsi sempre di più.

La trama di The Lighthouse

Il folklore ad ampio raggio sulla bussola di Robert Eggers

Should pale death with treble dread
make the ocean caves our bed,
God who hear’st the surges roll,
deign to save our suppliant soul.

Si inaugura la recensione di The Lighthouse, secondo film scritto e diretto da Robert Eggers, puntando inizialmente il focus su una delle caratteristiche fondamentali la filmografia del suo autore. Si tratta ovviamente della sua passione verso la mitologia ed il folklore, che si imprimono sulla pellicola attraverso un sempre pregevole lavoro di ricercatezza storica, pittorica e letteraria. Come in tutti i lavori di Eggers, gli elementi mitologici e folkloristici vengono sparsi durante tutta la visione, siano essi semplici dettagli per impreziosire la messa in scena, o determinanti per la struttura d’analisi e narrativa del racconto.

Se l’opera d’esordio del regista ha come base il credo religioso di una famiglia puritana, attingendo poi dalla mitologia stregonesca e dalle celebri “Tales”, in questo film del 2019 il folklore degli uomini di mare dell’800 si amalgama alla letteratura gotica, a fatti di cronaca nera e con una ventata di Classici. La prima linea di dialogo del film è infatti un brindisi, nello stile di un tempo, in cui il burbero Thomas di Willem Dafoe rompe il ghiaccio augurando al giovane sottoposto di passare al meglio queste 4 settimane che pensano di avere davanti a loro. Un brindisi che tornerà più volte nel corso del film, con l’alcol che sarà incisivo nella narrazione (come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo), ma la solennità del personaggio interpretato da Willem Dafoe è capace tanto di augurare il meglio quanto maledire il peggio.

[…] a bulging bladder no more, but a blasted bloody film now and nothing for the harpies and the souls of dead sailors to peck and claw and feed upon only to be lapped up and swallowed by the infinite waters of the Dread Emperor himself […]

Determinante è infatti un momento specifico del film, quando Thomas si infuria agli insulti del giovane Winslow sulla sua cucina e maledice il suo coinquilino, quasi inghiottendo la luce della stanza, dando anche una precisa previsione della sua fatale sorte. Verso la conclusione di The Ligthhouse, inoltre, durante lo scontro tra i due una visione del personaggio interpretato da Robert Pattinson vede il suo avversario assumere una forma mostruosa. Diventa così immediato il rimando del personaggio di Thomas Wake al Proteo della mitologia greca, aggiungendo anche un accostamento più nascosto ed affascinante.

Si tratta della divinità dei fiumi e dei mari, figlio di Poseidone, con il suo nome che starebbe ad indicare “nato per primo”, riferendosi anche ad un concetto appunto primordiale. Una figura mitologica questa da non confondere con il nome di Prometeo, con quest’altro protagonista della tradizione Classica che sarà determinante quando si entrerà nel cuore dell’analisi del film nel prossimo paragrafo. Tornando però a Proteo, oltre alla sua capacità di mutaforma e di predire il futuro, la figura verrebbe avvicinata al personaggio di Thomas Wake sotto un altro aspetto. Nell’Odissea ci si riferisce alla divinità come “Proteo d’Egitto”, con il figlio di Poseidone che potrebbe derivare da un’antica divinità fenicia, ma non solo. Anche come rappresentato in un’incisione di Jorg Breu del 1531, Proteo viene associato a quella che fu l’isola egiziana di Faro (oggi penisola) al largo della città di Alessandria, dove infatti venne edificata una delle Sette Meraviglie del mondo.

Creatura antica, divinità del mare e guardiano del faro più famoso della storia dell’umanità, ma i riferimenti letterari e mitologici dietro The Lighthouse non terminano sicuramente qui. Una delle fonti d’ispirazione per il regista in sede di sceneggiatura è stata infatti la tragica vicenda dietro il faro di Smalls, costruito a metà del XIX secolo (periodo in cui viene ambientato il film di Robert Eggers) su un isolotto al largo del Galles. In realtà la costruzione del faro nel 1861 fu eseguita per sostituire quello precedente edificato un secolo prima, il quale passò alla cronaca per una peculiare tragedia che vide protagonista due guardiani del faro che, guarda caso, ebbero entrambi il nome Thomas.

La storia macabra e allo stesso tempo grottesca affascinò particolarmente il regista, anche e soprattutto per il fatto che i due uomini condividessero lo stesso nome, per un racconto identitario al quale si arriverà più avanti. Mitologia Classica, vicende di cronaca nera, ma ovviamente Robert Eggers continua a dimostrare un sentito feticismo verso il folklore, in questo caso verso le credenze degli uomini di mare. Più che all’omonimo racconto di Edgar Allan Poe, The Lighthouse potrebbe infatti essere un adattamento cinematografico dell’opera scritta da Samuel Taylor Coleridge nel 1798, ovvero La ballata del vecchio marinaio (The Rime of the Ancient Mariner).

Tra razionalità ed irrazionalità, tra ragione e follia, l’opera vede protagonista un marinaio che si rende colpevole di un peccato mortale: quello di aver ucciso un albatro. Per i bestiari in epoca medievale e soprattutto per i marinai, l’animale rappresenta un uccello sacro che incarna il patto di unione tra l’uomo e la Natura, tra cielo, terra e mare. Il protagonista della ballata ha così commesso il crimine di aver spezzato quel legame, quella incarnazione pura ed innocente della Natura, trasformando il racconto in un viaggio gotico e fuori dalla sua immaginazione. Non diventa così particolarmente difficile riuscire a riscontrare punti di collegamento tra la Ballata e la visione di The Lighthouse.

Ci si riferisce ovviamente al momento cruciale del film, ovvero quando il personaggio di Winsolw uccide brutalmente un gabbiano nonostante il monito di Wake sul non fare mai del male a quel simbolo di buon auspicio. Appena l’animale viene ucciso, infatti, il vento cambia radicalmente, cosa che poi porterà a prolungare la permanenza di Winslow sull’isola. Dopo il bosco di The Witch (arrivando anche ad un affascinante collegamento “forzato” tra i due film, con Winsolw in fuga dagli alberi del suo precedente lavoro, oltre al ritorno dell’ambientazione nel New England), nel cinema di Robert Eggers continua a tornare protagonista il ruolo della Natura.

I gabbiani diventano infatti fondamentali e determinanti, presenti letteralmente dall’inizio alla fine, ma ad essere decisivo è anche il ruggire del mare oltre e soprattutto al ruolo ricoperto dal tempo. Questi non rappresentano solo elementi posti per impreziosire la scenografia, ma diventano veri protagonisti in grado di scardinare la struttura narrativa del film, oltre ad influenzarne l’analisi dei suoi pregni temi. In questa sede ci si è infatti soffermati principalmente sulla costruzione nascosta dietro la visione di The Lighthouse, i suoi riferimenti mitologici, l’ispirazione a fatti realmente accaduti e soprattutto il ruolo del folklore prendendo in esame La ballata del vecchio marinaio.

Tuttavia, oltre al parallelismo narrativo, i due racconti portano in scena un altro fondamentale aspetto, ovvero il nebbioso confine che separa il reale dall’irreale. Proprio come in The Witch, per poi ritornare nel resto della filmografia di Robert Eggers, il folklore, le credenze e la superstizione diventano aspetti fondamentali per entrare dentro il cuore dei suoi film. In The Lighthouse vengono mostrate sirene, creature tentacolari e Wake che assume le sembianze della divinità Proteo, ma tutto ciò accade realmente o diventa tutto frutto della follia che si sta impadronendo sempre più della mente del protagonista interpretato da Robert Pattinson?

La recensione di The Lighthouse, il folklore ad ampio raggio sulla bussola di Robert Eggers

L’imbestiamento dell’uomo in gabbia

Diventa dunque necessario soffermarsi sull’esperienza in sé del film, il suo effettivo contenuto ed i temi che il regista, da abile ed infernale traghettatore, intende imprimere nella mente dello spettatore. Si deve in tal caso subito sottolineare come The Lighthouse porti sullo schermo una visione dell’orrore sotto tutti i suoi aspetti…ma che tipo di horror? Ci troviamo davanti un horror-psicologico o un fantasy-horror? Lo stesso regista avrebbe etichettato quest’opera come “a strange tale”, da spassionato amante di quelle Tales da The Witch a La ballata del vecchio marinaio. Anche Robert Pattinson ha dato la sua visione a riguardo, definendo The Lighthouse una commedia, tanto da voler spingere affinché il film venisse candidato al Golden Globe per il Miglior Film Commedia o Musicale.

Ovviamente in quest’ultimo caso si rientrerebbe nei puri canoni del cinema grottesco e surreale, per quanto possa essere una commedia anche il terzo film di Ari Aster Beau ha paura. Proprio come il film del 2023, The Lighthouse condivide una folle spirale autodistruttiva, una visione da incubo che si immerge nel cinema dell’orrore. Ma, ancora una volta, di che orrore si tratta? La questione non è infatti solo quella di cucire addosso al film un’etichetta cinematografica per classifiche e catalogazioni di genere, ma diventa quella di analizzare il vero cuore dell’opera. Abbandonarsi all’idea del fantastico porterebbe ad indicare che una sirena sia realmente arrivata sull’isola, che il personaggio di Wake sia egli stesso la divinità Proteo ecc. Ma, proprio come già mostrato con il precedente The Witch, la “realtà” diventa un termine particolarmente nebuloso e sfuggevole, con la visione di The Lighthouse che si trasforma in un viaggio ancor più profondo, stratificato e che porta a galla più di qualche aspetto particolarmente intrigante.

A posteriori, diventa innanzitutto impossibile non pensare al fatto che il film anticipi di qualche mese il fenomeno della pandemia da COVID-19. Il racconto è infatti quello di due persone costrette a condividere lo stesso ambiente da fattori esterni, per una convivenza che si fa sempre più pesante giorno dopo giorno. Tornando al concetto della Natura sopracitato, Eggers mostra come il rapporto tra due uomini cambi e venga inevitabilmente influenzato al “mutar del vento”, da fenomeni fuori dalla loro portata come ad esempio il meteo e soprattutto il tempo. L’isolamento costringe l’uomo a confrontarsi con i propri istinti bestiali, con la sua natura e i suoi bramosi desideri.

Quando l’acqua diventa putrida e le provviste marciscono, a diventare imprescindibile diventa l’alcol, il quale porta anche a sbloccare i freni inibitori trasformando il tutto in un’allucinata ed allucinogena spirale di follia autodistruttiva. Ecco che l’uomo – senza più ragione ed imbestialito dal tempo e dalle forze della Natura – mostra ciò che è “realmente”, rincorrendo quelle inevitabili parole d’ordine di sesso, sopravvivenza e dominio. Per quanto riguarda l’istinto a preservare la propria vita, questo diventa esplicito ed evidente sin dai primi minuti di burrasca, scegliendo qui di soffermarsi piuttosto sulla sfera sessuale.

Questa viene portata in scena negli effetti della castrazione, dando sfogo ad un giovane uomo rinchiuso con un vecchio su un’isola, disposto a ricercare il piacere anche nella semplice statuetta di una sirena, abbandonando la sua mente al suo affascinante richiamo. <<Se avessi una bistecca… la scoperei.>>. Se in The Witch viene mostrato il legame in questo senso tra il giovane Caleb e la strega del bosco, con i dogmi religiosi che castrano il pensiero stesso del piacere, qui Winslow è abbandonato ad un pensiero che non può trovare un riscontro concreto ed effettivo con una vera donna, portando al pianto disperato dello stesso. Il sesso, o meglio la mancanza di esso, diventa anche qui il fattore scatenante la discesa nella follia del protagonista, con la stessa che tuttavia viene alimentata dal dominio, dalla luce del potere.

<<Lo strano incanto nella luce del faro>> viene chiamato ad un certo punto in The Lighthouse e, effettivamente, il bagliore che emana il cuore della struttura è davvero incantevole ed ammaliante. Se il personaggio di Wake ha “sposato” ormai da non si sa quanto tempo quella magia, abbandonandosi anche e letteralmente all’amore con essa, il giovane Winslow approccia quella luce per la prima volta, venendo catturato fin da subito. L’alcol, la frustrazione e la forzata convivenza non fanno altro che accrescere l’ossessione del personaggio verso quella fonte di meraviglia, quel lume che potrebbe rappresentare una via di fuga dalla follia e, allo stesso tempo, l’unica dimostrazione di potere esistente in quell’universo sugli scogli.

La stessa struttura del faro, nell’idea primordiale degli sceneggiatori, avrebbe dovuto assumere infatti un più marcato riferimento fallico, di potere, portando di conseguenza la visione ad una rude sfida tra i due uomini nel conquistarne la Luce, il faro stesso. Il potere, il controllo e la dominazione, di due piccoli uomini intrappolati dalle invincibili forze della Natura, diventano sempre più centrali nella narrazione di The Lighthouse. Basti pensare solamente come Wake chiami ripetutamente “cane” il giovane Winslow per disprezzare il suo lavoro, con quest’ultimo che, alla fine del film, prende al guinzaglio il suo stesso mentore dopo avergli ordinato di abbaiare.

Attingendo dunque dalla mitologia, dai fatti di cronaca nera e soprattutto dal folklore, Robert Eggers porta su schermo una visione da incubo che vede la tirannica Natura giocare con le sue marionette, svelando l’essenza di due uomini soggiogati dal suo volere funesto. La visione si trasforma in una spirale di follia annebbiata dai fumi dell’istinto: quello di sopravvivenza, del desiderio sessuale e soprattutto della bramosia di potere. Lo strano incanto della luce del faro, tuttavia, porta a proiettare sullo schermo ombre ben più spesse ed ingombranti di quanto si possa immaginare di primo impatto.

La recensione di The Lighthouse, l'imbestiamento dell'uomo in gabbia

Lo strano incanto del Faro che ingigantisce le ombre

Si torna in tal caso sulla vicenda, precedentemente citata, della tragedia del faro di Smalls e sul discorso “identitario”, nonché sugli altri imprescindibili riferimenti alla tradizione Classica. La prima bozza di sceneggiatura del film, adattando l’omonima opera di Edgar Allan Poe, venne strutturata in modo da portare su schermo una gotica storia di fantasmi ambientata su di un’isola, con il prodotto finale che potrebbe non aver preso troppo il largo da quell’idea iniziale. Più che di fantasmi, infatti, The Lighthouse porterebbe su schermo un gioco di ombre proiettate sul muro dalla stessa fonte di luce.

<<Probabilmente sono frutto della tua immaginazione>> ipotizza sarcasticamente il personaggio di Wake, riferendosi a quello interpretato da Robert Pattinson. Ma più che una “semplice” deriva folle per la mente del protagonista, la domanda potrebbe essere un’altra. E se i due personaggi, proprio tornando al discorso dei “due Thomas”, fossero la stessa persona? Qui si inaugurerebbe un viaggio introspettivo, surreale e poetico davvero sconfinato. <<Preparami una tazza di caffè, una tazza di caffè ci farà bene>>. Oltre alla somiglianza fisica (con l’intermezzo della differenza d’età), i due protagonisti fanno il loro ingresso in scena all’unisono, guardando dritto verso lo spettatore.

Vuoi sapere come mi sono fatto male alla gamba?” potrebbe anche arrivare a chiedere il personaggio di Wake, cambiando sempre storia e lasciando arieggiare il mistero sulla vicenda, fino a quando Howard (l’altro Thomas, Robert Pattinson) non cadrà dalla scala del faro rompendosi visibilmente la gamba. Sono davvero molti gli spunti che porterebbero ad identificare i due personaggi come ombre speculari. Wake ha dovuto infatti abbandonare la via del mare, arrendendosi alle condizioni della sua vecchiaia e scegliendo forzatamente di “sposarsi” alla causa del suo faro in maniera sedimentaria; al contrario, Howard è giovane, esuberante ed in continuo vagare, ambizioso e stanco degli “alberi” dello scorso impiego. I due formerebbero in tal senso due ombre proiettate dalla stessa fonte di luce, due facce della stessa medaglia, ma a cosa porterebbe questa interpretazione e cosa mostra allora realmente The Lighthouse?

<<Era un vento gentile da Ovest quello che hai disprezzato, a te sembrava impetuoso perché non sai niente di niente e non ci sono alberi su quest’isola>>. Con questo surreale racconto, il film non farebbe altro che portare sullo schermo un forte scontro generazionale, una storia di nostalgia, di rammarico e sul peso della colpa. Entrando passo passo nel banco di nebbia di questa ricostruzione, si tende ad identificare il Faro quale una sorta di Limbo, una proiezione astrale nella mente di un vecchio Thomas “dimenticato da ogni uomo, da ogni tempo, dimenticato da ogni Dio o Diavolo, dimenticato persino dal mare”. Si potrebbe così impostare diverse basi narrative interpretative.

Una di queste potrebbe puntare sul fatto che Thomas (giovane) si sia dato alla fuga dopo l’incidente che ha portato alla morte di Winslow. Cercando un luogo isolato e lontano da tutto, Thomas finisce a fare il guardiano del faro assieme ad un altro uomo, al quale rivelerà in un momento di euforia il perché si trovi lì. Spaventato, l’uomo deciderà di denunciare (licenziare) Thomas il quale, tuttavia, reagirà uccidendo l’uomo e sotterrandolo, per poi finire isolato sull’isola fino alla sua vecchiaia (avendo, da questo punto di vista, più di qualche punto in comune con la macabra vicenda del faro di Smells).

<<Da quanto tempo siamo su questa roccia? Cinque settimane? Due giorni? Dove siamo? Aiutami a ricordare.>>. Prossimo alla morte, il folle e vecchio Thomas ripenserebbe quindi alla sua gioventù, a quando finì su quell’isola, agli errori commessi, ad una vita sprecata. Un piano ultraterreno partorito dalla sua mente che porta ad incarnare un nuovo coinquilino, il ricordo di lui stesso da giovane, quando la sua arroganza e la sua esuberanza lo ha portato alla pazzia e alla solitudine. Proprio come avviene con The Witch, la scena conclusiva della visione di The Lighthouse è al tempo stesso tanto scollegata quanto emblematica dell’intero film.

In questo caso si fa riferimento al personaggio interpretato da Robert Pattinson divorato dai gabbiani sulla riva del mare, tornando ai già citati omaggi alla tradizione Classica. Si tratta ovviamente del mito di Prometeo che, come punizione per aver rubato il fuoco agli Dei, viene incatenato da Zeus e con la mostruosa aquila Aithon che gli squarcia il petto dilaniandone le viscere, le quali ricrescono ad ogni notte. Con ovvi rimandi anche al mito di Icaro, i pochi secondi che concludono la visione di The Lighthouse tenderebbero ad esaltare la fragorosa superiorità della Natura sull’Essere Umano.

Quella punizione divina, che colpisce l’eroica esuberanza di Prometeo, si ripercuote simbolicamente anche a spese di Thomas, alla “rivelazione” avuta quel giorno accecandosi con il Lume della ragione sull’esistenza. I gabbiani, la marea, i fulmini, lo scorrere del tempo, la morte. La scena conclusiva di The Lighthouse è volta a punire l’arroganza, l’ambizione, l’avidità e la bramosia di potere dell’Essere Umano che, nella Luce del faro, scopre la verità di essere impotente ed infinitamente piccolo dinanzi le forze della Natura.

Il rigore e la lucidità nella discesa verso la follia

Quella messa in scena da Robert Eggers in The Lighthouse è una vera e propria spirale di follia autodistruttiva, enfatizzata sotto tutti i suoi aspetti. La nebbia iniziale sullo schermo inizia a dissolversi, delle sagome in lontananza cominciano ad apparire, una luce nell’oscurità, quella del faro protagonista. La scelta del bianco e nero, come accennato nel precedente paragrafo, non rappresenta solo ed esclusivamente una decisione estetica, ma il contrasto tra luci ed ombre diviene fondamentale anche e soprattutto per aspetti narrativi.

Ad essa si aggiunge e si fonde anche la scelta del formato dello schermo, ovvero quel 1,19:1 che spinge fortemente verso un’esperienza claustrofobica ed opprimente. Addirittura lo stesso personaggio di Robert Pattison sbatte la testa contro il soffitto, per una geometria degli spazi che si stringe attorno ai protagonisti, sebbene la scelta del formato e della fotografia in B/N sia debitrice anche dell’omaggio cinematografico. L’espressionismo gotico, spettrale ed esistenziale si staglia sull’immagine con una potenza evocativa fuori dal comune, riuscendo a portare su schermo rimandi al cinema di Drayer, di Murnau, di Bergman e molti altri.

Non solo evidenti e formidabili riferimenti cinematografici, ma The Lighthouse riesce a riportare con grande facilità e naturalezza molti omaggi pittorici, soprattutto come la potente immagine regalata da L’Ipnosi di Sascha Schneider, o la già citata scena che omaggia il mito di Prometeo e riprende l’opera di Jean Delville. La mano di Eggers nello stile di ripresa è poi rigorosa, ferma, portando a movimenti laceranti in linee parallele e verticali, arrivando poi alla vorticità della scala a chiocciola ed è così che la spirale di follia può prendere il sopravvento. Al di là di formalismi ed aspetti tecnici, la visione di The Lighthouse è veramente una pura meraviglia per gli occhi, con il lavoro del candidato premio Oscar Jarin Blaschke che dà vita a contrasti di luce a dir poco mozzafiato.

L’esperienza rilasciata su schermo dal film, tuttavia, non è “solo” sorprendente dal punto di vista estetico, ma è anche e soprattutto fortemente immersiva anche da quello sonoro. Dalla roboante sirena del faro all’urlo della creatura degli abissi, dalle flatulenze di Wake alle masturbazioni di Winslow, il sound design di The Lighthouse fa sentire fragorosamente tutti i suoi dettagli che diventano determinanti nel costruire una visione respingente, fetida e mortifera. L’oppressione del formato e del contrasto di luci diviene così claustrofobico anche per il livello auditivo, soprattutto con l’incredibile urlo rotto nel finale. Anche la colonna sonora, eseguita da Mark Korven (che torna a collaborare con il regista dopo The Witch), non è esente da un peculiare e minuzioso lavoro. L’intenzione di Robert Eggers fu infatti quella di volersi assolutamente discostare dall’uso di archi per utilizzare corni, flauti e conchiglie, evocando la mitologia del mare in modo aleatorio attraverso trame e strumentazione.

La messa in scena di The Lighthouse è dunque totalizzante, ma se l’esperienza di pura follia viene ben ricreata su schermo il merito è anche e soprattutto per l’intensità della sola coppia protagonista. Lo smisurato talento di Willem Dafoe non avrebbe bisogno di presentazioni, con l’attore nominato proprio in quell’anno al premio Oscar per il film Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità e conoscendo una nuova formidabile giovinezza proprio nell’ultimo periodo. Per Robert Pattinson la questione è un po’ diversa, con l’attore al tempo ancora alle prese con il processo per scrollarsi di dosso i ruoli di Edward Cullen nella saga di Twilight e quello di Cedric Diggory in Harry Potter.

Il talentuoso attore diventa infatti protagonista di diverse opere indipendenti dirette da artisti di altissimo calibro, come David Cronenberg (Cosmopolis e Maps to the Stars), Werner Herzog (Queen of the Desert), Brady Corbet (The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo) e Claire Denis (High Life). Pattinson mostra nel “teatrale” The Lighthouse forse la sua performance migliore, più intensa, riuscendo a tenere testa alla titanica presenza di Dafoe in scena. I due mettono infatti in scena un vero e proprio two-hander, ovvero una prova recitativa dove i due protagonisti mostrano e fanno cozzare le proprie differenze di carattere e di esperienza, con l’alchimia ed il veleno tra i due che diviene determinante anche per gli aspetti narrativi sopracitati.

In conclusione e cercando di tirare le somme di quest’opera scollegata da una “normale” visione cinematografica. Dopo aver stregato il pubblico e la critica internazionale con il suo stupefacente esordio alla regia, Robert Eggers al suo secondo film raggiunge probabilmente la perfezione, o davvero poco ci manca. The Lighthouse porta infatti in scena non solo un racconto thriller-horror avvincente e ritmato, ma proietta su schermo le spesse ombre di un simbolismo e di un’analisi esistenziale davvero mirabili e profonde. Attingendo dalla mitologia Classica, dalla letteratura di Edgar Allan Poe e Lovecraft, da vicende di cronaca nera e soprattutto dal folklore marinaresco, il regista resta fedele al suo cinema continuando, allo stesso tempo, ad evolverlo e trasformarlo.

La sceneggiatura senza sbavature viene poi supportata da un comparto tecnico che riesce ad eccellere, capace di restituire l’esperienza da incubo di una discesa nella follia. A prendere posto nella messa in scena, curata nei minimi particolari, è poi una coppia recitativa dalla potente intensità fisica ed emotiva. Pattinson continua a sorprendere film dopo film, mentre Willem Dafoe non perde occasione di dimostrare tutta la sua vigorosa classe scenica.

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La locandina del film di Robert Eggers The Lighthouse
The Lighthouse
The Lighthouse

Con il suo secondo film Robert Eggers continua a solcare le vorticose acque del folklore facendo discendere lo spettatore in una spirale di follia autodistruttiva.

Voto del redattore:

10 / 10

Data di rilascio:

19/05/2020

Regia:

Robert Eggers

Cast:

Robert Pattinson, Willem Dafoe, Valeriia Karamän, Logan Hawke

Genere:

Horror, thriller, grottesco

PRO

Ogni suo aspetto narrativo, tecnico e stilistico.
Nessuno.