Recensione – Dragon Ball Daima 1×19: Tradimento

Penultimo episodio per Dragon Ball Daima, che ormai si prepara al gran finale: il 19esimo episodio prende il nome di Tradimento, ma qual è il suo risultato?
Recensione - Dragon Ball Daima 1x19: Tradimento

Articolo pubblicato il 21 Febbraio 2025 da Bruno Santini

Ci avviciniamo sempre più al finale di stagione di Dragon Ball Daima e, a seguito del colpo di scena osservato alla fine del diciottesimo episodio dell’anime, si prosegue con la narrazione e con l’espressione del desiderio di Glorio con le Sfere del Drago, che evocano un Polunga del Regno Demoniaco. Il 19esimo episodio di Dragon Ball Daima, che prende il nome di tradimento, porta la narrazione verso il tanto atteso finale di stagione (e presumibilmente anche di serie, considerando che si tratta di uno speciale pensato per i 40 anni di Dragon Ball): ma qual è il suo risultato? Per comprenderlo, indichiamo di seguito la recensione dell’episodio 1×19 di Dragon Ball Daima.

La trama dell’episodio 1×19 di Dragon Ball Daima, Tradimento

Prima di procedere con la recensione del 19esimo episodio di Dragon Ball Daima, Tradimento, è importante sottolineare innanzitutto quale sia la trama di quest’ultimo. Nell’avvicinarsi al finale della serie, come avevamo osservato, Glorio aveva evocato Polunga ed espresso un desiderio utilizzando la linea namecciana, alla fine della puntata 18. Si scopre, dopo qualche secondo, che l’esito non è negativo per i nostri protagonisti: il desiderio, infatti, porta tutti i personaggi presenti nel Regno Demoniaco a diventare nuovamente adulti. Si scopre, anche, che Glorio era soggiogato ad Arinsu perché quest’ultima l’aveva salvato dal Terzo Regno Demoniaco, che in effetti già conosceva: nonostante ciò, la sorella del Kaiohnshin già conosciuto anche in Dragon Ball Z sembra avere un’idea e si rivolge a Majin Kuu, a cui chiede di procurargli un libro contenente indicazioni e utilizzi di tutti gli oggetti demoniaci. Il Terzo Occhio di Gomah, infatti, può essere tolto con la forza utilizzando una tecnica: per riuscire a portare a termine il combattimento, prima Vegeta, poi Goku si trasformano continuamente; ma basterà?

Un'immagine di Goku Super Sayan 4 adulto nell'episodio 19 di Dragon Ball Daima (Tradimento), la recensione

La recensione del 19esimo episodio di Dragon Ball Daima: dunque, a che cosa è servito tutto questo?

“Tutte trasformazioni inutili”, pronuncia Gomah in un momento del 19esimo episodio di Dragon Ball Daima, a seguito di una serie di trasformazioni che osserviamo nel corso della puntata Tradimento. In effetti, il solo Vegeta ne realizza tre, mentre per Goku c’è anche l’aggiunta del Super Sayan 4 diventato ormai canonico all’interno del mondo di Dragon Ball, dopo essere stato a lungo sognato da parte degli spettatori. Tutte trasformazioni inutili, ci sentiamo di confermare con spirito anche abbastanza deluso: anche nell’ormai celebre e discusso momento del SSJ4 bambino del 18esimo episodio, era stato possibile evidenziare quanto poco questa trasformazione effettivamente durasse e quanto riuscisse ed essere incredibilmente contrastante con lo spirito di Dragon Ball nella sua storia. Daima è un prodotto nato evidentemente con lo scopo di celebrare il celebre franchise a 40 anni dalla sua creazione, ma è stata davvero un’idea giusta?

Con Glorio che pronuncia, tra tutti i desideri (anche ad personam) possibili, parole che fanno diventare i nuovi protagonisti nuovamente grandi scappa, inevitabilmente, un sorriso: non perché si sia felici nel ritrovarli nelle loro reali fattezze, ma perché ci si rende conto dell’evidente cortocircuito di Daima, una serie che aveva delle aspettative non soltanto mai rispettate, ma tradite nel corso stesso del proprio sviluppo. Tradimento, quasi come se il titolo di una puntata potesse parlare, è allora quello degli stessi addetti ai lavori di un prodotto che si nega in se stesso, che tradisce il suo senso d’essere e che smentisce tutto ciò che aveva messo in piedi fino ad ora: a che cosa è servita tutta l’impalcatura di Dragon Ball Daima? Quale valore hanno assunto le trasformazioni, i colpi di scena, i deus ex machina, gli aiuti di Neva et alii, i numerosi combattimenti, i viaggi tra i Regni? La risposta, purtroppo, è una e una sola: a nulla. O meglio, a rendere necessaria una serie che non aveva (e non ha) alcun intento narrativo, ma serve semplicemente a generare delle direttrici economiche: da un lato rimpolpare un franchise che vive per il suo stesso nome; dall’altro testare i nuovi doppiatori ufficiali di Dragon Ball in un prodotto mai esplorato prima; in ultimo per vendere, evidentemente, pupazzi e action figures. Non che il mercato e l’economia siano malvagi, sia chiaro, ma quando tutto viene appiattito e reso sterile per il fine ultimo di offrire immagini vuote, ecco che allora anche quello che potrebbe essere un rispettabile contorno finisce per essere cause di quel male che si osserva puntata per puntata: di fatto, il momento migliore della puntata – e forse dell’intera serie – è quello in cui Vegeta smette di combattere perché minacciato da Bulma di non poter più fare un bagno con lei, restituendo anche un po’ di quella sana e concreta ironia che da sempre caratterizza la storia di Dragon Ball.

Il 19esimo episodio di Dragon Ball Daima, che a dirla tutta neanche con gli eroi nelle loro stature risolve il dilemma (aggrappandosi al più facile degli espedienti in pieno stile Dragon Ball), fa crollare tutta l’impalcatura che la serie aveva assunto fino ad ora, rinunciando a qualsiasi colpo di scena e anche a quell’idea – che per quanto prevedibile appariva certamente sensata – di un Glorio come effettivo villain all’interno della serie. C’è un nulla di fatto in tutti i fronti, con rapporti di forza ormai mandati alla berlina (e con essi anche dei banalissimi rapporti in proporzione dei personaggi, tanto da porsi costantemente interrogativi su quanto sia grande e grosso Gomah), con scontri che appaiono vuoti perché finalizzati al nulla e con un senso della lotta che si annulla di volta in volta. Anche per le trasformazioni, che citavamo precedentemente, c’è da fare evidentemente un appunto: certo è che possono essere ben messe sullo schermo – con animazioni eccellenti -, così come alcuni momenti di pura azione e scontro, ma è davvero sfiancante osservarne così tante e così spesso, quasi come se cambiare colore e forma dei capelli fosse un imperativo categorico, per la serie che invece ci aveva abituato a sognare (a volte anche per decine di puntate) un momento che arrivava dopo mesi, semplicemente assumendo l’immagine di un premio. È, allora, davvero tutto triste: un eterno ritorno dell’uguale che, però, di filosofico ha ben poco.


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