The Banshees of Inisherin: gli spiriti irlandesi per rappresentare l’animo umano

Articolo pubblicato il 6 Settembre 2022 da Andrea Barone

Torna in concorso a Venezia, Martin McDonagh, già presente alla 74esima edizione di Venezia con I tre manifesti a Ebbing Missouri, ritorna quest’anno con The Banshees of Inisherin (Gli spiriti dell’isola). Il cast è composto da Colin Farrell, Brendan Gleeson, Kerry Condon, Barry Keoghan.

Ambientato su una remota isola al largo della costa occidentale dell’Irlanda, The Banshees of Inisherin segue le vicende di due amici di vecchia data, Padraic (Colin Farrell) e Colm (Brendan Gleeson), che si ritrovano in un’impasse quando Colm decide bruscamente di porre fine alla loro amicizia. Padraic, sbalordito, non accetta questo rifiuto e tenta di ricucire la relazione, aiutato dalla sorella Siobhan (Kerry Condon) e da Dominic (Barry Keoghan), un giovane isolano tormentato. I ripetuti sforzi di Padraic, tuttavia, non fanno che rafforzare la determinazione dell’ex amico e, quando Colm lancia un disperato ultimatum, gli eventi precipitano rapidamente, con conseguenze scioccanti.

The Banshees of Inisherin, tradotto con il titolo italiano L’isola degli spiriti, è un film solido, compatto, ricco di sfaccettature nel suo essere semplice nel raccontare una storia apparentemente lineare. Quest’anno sono pochi i film in concorso a Venezia a convincere, e tra questi sicuramente inseriamo l’ultima fatica di Martin McDonagh proprio per queste ragioni. La delicatezza con cui il regista è capace di narrare per accompagnarci in quest’isola tipicamente irlandese, parte con un establishing shot nell’incipit per mostrare la vastità paesaggistica dove si svolgono gli eventi. Tutta la natura prende parte all’umanità dipinta in questa ora e cinquanta di film, dalle rocce su prati solenni seguiti da un mare potenzialmente infinito, in favore dell’inadeguatezza dell’uomo troppo piccolo su questo pianeta nonché solo. La solitudine in luoghi del genere, favorisce la chiusura in sé stessi in quanto mentalità spesso arretrate, ma anche preda di una noia letale. Allora entra in gioco la cinica, cruda, mai fuori luogo comicità scritta e messa in scena da McDonagh in una brillante moltitudine di relazioni tra i personaggi del film. Padraic è il protagonista, Colin Farrell è sul pezzo come poche volte lo si è visto durante il corso della sua carriera, e ciò permette di empatizzare con lui sia per la comicità volontaria che involontaria: i coloriti della sua personalità sono espressi dalle insicurezze, dalle repressioni e dalla curiosità, ma si lascia ampio spazio anche alla gentilezza (che non è mai banale e scontata). Tenero è il rapporto imbastito con il suo migliore amico da sempre, Colm, alle prese con la depressione conseguenza della noia, la caducità del tempo gli brucia l’anima a tal punto da indurlo a sentirsi il nulla in confronto all’immortalità bramata con ardore, sperando un giorno di raggiungerla tramite la sua musica. La disperazione è dilaniante, promette così all’ormai ex amico Padraic, di tagliarsi le dita se non lo avesse lasciato in pace, affidandosi al buon senso per continuare a scrivere canzoni e ad eseguirle lui stesso (altrimenti privato di tale scopo). Gli animali sono personalità attiva, simbolo di consolazione e compagnia nella desolata (ma bellissima) costa irlandese, essendo osservatori delle gesta spropositate dei loro padroni, di cui potrebbero pagarne le conseguenze direttamente; con uno sguardo lasciano intendere di dar presenza senza essere giudici, attestando pietà. Gli interni si sposano con il rurale esterno, essendo materiali quali la pietra ed il legno, ma la tavola è la principale protagonista di dibattiti cruciali e di battute esilaranti, taglienti. Il pub tipicamente irlandese accoglie screzi, insegnamenti, ubriacate alleviatrici (e non), ritratti imperdibili della piccola comunità. Gli spiriti osservatori e profeti delle vicende, sono innati ma anche fisici attraverso il personaggio dell’anziana signora dal passo lento e dalla chiacchera sentenziosa, quasi a ricordare una delle streghe di Macbeth. L’elemento cattolico, storicamente portante in Irlanda, è presente nell’astrazione con inquadrature che mettono in campo croci e una Madonna osservatrice, soprattutto per la posizione in cui si trova, cioè al bivio di una strada; ma McDonagh come nei tre manifesti, non perde occasione di divertire lo spettatore indispettendo un sacerdote. Tra l’altro le due strade che dividono i due amici senza una ragione ben precisa, sono sintomo di un’Irlanda spaccata a causa della guerra civile che qui fa da sfondo. La metafora è delicata, precisa, e asserisce liricità ad un’opera squisitamente mostrativa e per niente didascalica. I due amici, come l’Irlanda, si dividono senza riuscire a far pace ma alimentando un fuoco acceso da un’inutile scintilla; si fanno del male ma si danno anche l’occasione di pensarsi indipendentemente l’uno dall’altro, facendo i conti con i problemi di una vita. In un certo senso può unirsi anche Dominic in questo discorso, rappresentazione di un popolo in difficoltà e senza una guida; Siobhan è una donna saggia, mette pace alle zizzanie tra uomini e si dimostra velatamente (anche apertamente) superiore a tutti i personaggi. Riesce ad elevarsi senza mai passare per insensibile e indifferente alle questioni fraterne. Valori che all’Irlanda dell’epoca mancarono.

Film imperdibile e tassello importantissimo nella filmografia del regista, maturo nella modalità di raccontare attraverso il cinema.

Voto:
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Andrea Barone
4.5/5
Andrea Boggione
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Carlo Iarossi
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Paolo Innocenti
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Carmine Marzano
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Alessio Minorenti
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Paola Perri
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Giovanni Urgnani
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