Articolo pubblicato il 14 Aprile 2025 da Alessio Minorenti
Distribuito nelle sale italiane a partire dal 10 aprile 2025, A Working Man è la nuova pellicola diretta da David Ayer, regista di film d’azione noto per aver diretto Bright, Fury e The Suicide Squad. Il film è la seconda collaborazione tra il cineasta e l’attore britannico Jason Statham, dopo la pellicola The Beekeper del 2024 ed è stato scritto con la collaborazione di Sylvester Stallone. A tal proposito: com’è A Working Man? Di seguito la recensione del film.
La recensione di A Working Man, un film reazionario
A Working Man è un film pigro, come troppo spesso se ne vedono nel cinema action contemporaneo. In tal senso l’unico punto d’interesse risulta essere il fatto che l’opera si propone come un compendio dei difetti di questo genere di pellicole. L’accoppiata Ayer-Statham propone infatti la storia di un ex-militare britannico (che come da cliché non sente che i suoi sforzi siano stati apprezzati sufficientemente dalla società civile) che deve tornare in azione per recuperare la figlia di un suo caro amico imprenditore che viene rapita. Anche sorvolando sulla imbarazzante introduzione del protagonista, che per qualche motivo viene presentato come un uomo molto ben voluto sopratutto dagli immigrati al lavoro nei cantieri di una mai credibile Chicago (il film è stato girato a Londra e si vede), cercando di proporre una sorta di versione liberale di questi film action reazionari, il film sembra un pessimo misto tra un capitolo della saga di Taken e John Wick, che ormai bisogna assodare essere diventata la base di partenza per chiunque voglia proporre del cinema di azione.
Da una parte vi è la totale sostituzione da parte del protagonista alle forze dell’ordine (che sostanzialmente non esistono nell’universo del film) che richiama la saga interpretata da Liam Neeson, dall’altra vi è invece una mafia russa da operetta che tenta invano di frapporsi tra Statham e il suo obiettivo. Il problema è che questa minaccia non risulta credibile nemmeno per un secondo, dal momento che sia gli scagnozzi che i leader dell’organizzazione vengono fatti fuori con una facilità disarmante e l’unico a sopravvivere è il capo famiglia che vagabonda senza scopo per tutto la durata del film, concludendo il suo arco narrativo con un urlo degno dei peggiori film con Nicholas Cage. Come se questo non bastasse, sul finale della pellicola, viene rivelata l’esistenza di una sorta di organizzazione ombra della mafia russa che non genera alcuna suggestione ma si propone soltanto come l’ennesimo spunto narrativo sprecato in fase di sceneggiatura (purtroppo redatta da un per nulla ispirato Sylvester Stallone).
Per non farsi mancare alcun luogo comune il film si premura di iniziare con la promessa da parte del protagonista di condurre una vita tranquilla senza mai più ricorrere alla violenza, cosa che viene smentita nel corso di circa 5 minuti. Non si capisce nemmeno quale sia l’insegnamento che il personaggio protagonista trae dall’aver tratto in salvo la ragazza che viene rapita, se non un generico rinnovato attaccamento alla famiglia (anche questo tipico di questo genere di film). Da salvare la credibilità di Statham come action hero e la regia di Ayer che, lungi dall’essere un grande cineasta, è comunque un buon mestierante che sa muovere la macchina da presa. Ultima nota di disprezzo va riservata ai titoli di testa composti da una sequenza di dissolvenze e transizioni che contengono: armi, esplosioni e tante bandiere americane e inglesi.