Articolo pubblicato il 14 Aprile 2025 da Gabriele Maccauro
«Rousseau, anche lui un uomo del popolo, disse: Quando il popolo non avrà più da mangiare, allora mangerà i ricchi.», è una frase che Pierre Gaspard Chaumette, durante il periodo del terrore, pronunciò alla Comune di Parigi, attribuendo il celebre motto al filosofo francese. Da quel momento in poi, “mangia il ricco” è diventato un modo per riferirsi a tendenze anticapitaliste che si osservano nel mondo dell’arte e del cinema, oltre che della politica. Al giorno d’oggi, soprattutto in virtù del ruolo di politici come Bernie Sanders, diverse tendenze ideologiche si cristallizzano in una lotta di classe violenza, che porta ad abbattere la funzione del potere che spesso si radicalizza sotto forma di ideale ribellione nei confronti della classe dominante. Il cinema, come sempre avviene per diverse forme di dialogo sociale, ha prodotto spesso film che rispondessero al tema del “mangia il ricco”, con una serie di film passati alla storia, ultimo tra questi Death of a Unicorn. Ma quali sono da recuperare assolutamente?
Lo scopone scientifico (Luigi Comencini, 1972)
«Trovo che Lo scopone scientifico sia una favola molto giusta sulla lotta dei deboli contro i potenti», ha commentato Luigi Comencini parlando del suo film, che potremmo ritenere particolarmente rappresentativo rispetto al cinema “eat the rich”. La storia del cinema italiano è ricca di impegno politico e di film particolarmente impattanti dal punto di vista ideologico, ma scegliamo questo capolavoro della commedia all’italiana con Alberto Sordi, poi rivalutato anche in chiave puramente politica, proprio per la sua forza nel presentare la situazione di sovvertimento necessario del potere. Senza cercare delle chiavi rappresentative estreme, per un film tutto sommato neorealista nella sua cornice strutturale, Luigi Comencini racconta la storia di due baraccati romani destinati a perdere nello scopone scientifico.
La loro sconfitta non è soltanto una misura legata al gioco, ma anche al possesso di quel denaro che non si muove mai davvero dalle mani della ricca americana che li soggioga: indipendentemente dall’esito della partita, il denaro è pur sempre suo e farà di tutto per ottenerlo ancora una volta, per il semplice esercizio di quel dominio economico e monetario che presenta i canoni del fascino della ricchezza. Sconfiggere questa forma di potere affidandosi ai suoi meccanismi (anche quando vincono, i due romani è come se perdessero) è impossibile, per cui l’unico modo di interrompere l’intero processo è affidarsi all’utilizzo della violenza, che si libera di un colore partitico ma che si carica di un forte senso ideologico nel cinema mai banale di Comencini.

Mangia il ricco (Peter Richardson, 1987)
Non possiamo parlare di film “eat the rich” senza citare il lungometraggio che si rende nomen omen rispetto a questo aspetto. Se, nella maggior parte degli esempi di “mangia il ricco”, l’aspetto è puramente metaforico nella rappresentazione della violenza anticapitalista, nel film Mangia il ricco diventa anche concreta e puramente sensoriale. Peter Richardson è dietro la macchina da presa per un film che, vale la pena dirlo, è tutt’altro che memorabile e che si avvale – tra ispirazioni ai Monthy Piton e ricorso alla commedia nera in luogo della satira – anche dell’interpretazione di Lemmy Kilmister dei Motorhëad. Il racconto è quello di Alex, un uomo che viene licenziato per la sua pigrizia da un ristorante e che riconquisterà, a forza di omicidi, quel locale stesso dove inizierà a servire carne umana.
L’iniziativa ottiene un grandissimo successo poiché tutti ritengono si tratti di uno scherzo, fino allo svelamento della verità che, però, non condanna l’uomo: trattasi di una misura ritenuta necessaria, e per la quale lo stesso Alex può dirsi salvatore di un sistema totalmente soppresso dal potere, dunque uccidere e mangiare il ricco rappresenta l’unica soluzione possibile.

Parasite (Bong Joon-ho, 2019)
Probabilmente, il tema del “mangia il ricco” espresso in termini metaforici è tornato in auge al cinema con Parasite di Bong Joon-ho, uno dei capolavori di questo genere che propone, pur con una funzione sociale molto più matura rispetto a tanti altri film con la medesima formula, un sovvertirsi del potere dominante attraverso l’omicidio e la conquista di spazi. La dimora dove la famiglia povera di Parasite conquista sempre più dominio diventa, anche grazie ad un’architettura delle classe sociali teorizzata in termini piramidali, un vero e proprio spazio foucoaltiano di potere, dove la sola tendenza di demarcazione territoriale porta con sé violenza in costante crescendo. In tal senso, il protagonista che ammazza il ricco – per il solo motivo di quella puzza per cui era stato sempre tacciato – rappresenta l’emblema estremo di quell’esplosione, talvolta, ritenuta necessaria nell’ambito del cinema.
Triangle of Sadness (Ruben Östlund, 2022)
L’esempio precedentemente citato di Parasite ci permette di comprendere che, al di là di altre valutazioni a proposito del senso anticapitalista del racconto, il cinema “eat the rich” trova collocazione entro precise coordinate geografiche, con spazi che diventano funzionali affinché il racconto possa cristallizzarsi anche dal punto di vista metaforico. Non possiamo tener fuori dalla lista di questi film, allora, Triangle of Sadness di Ruben Östlund, seconda Palma d’Oro consecutiva per il regista svedese che – in effetti – con le forme aveva già ragionato nel suo The Square. La barca che ospita l’èlite della ricchezza mondana diventa luogo di forme di sovversione del potere, che trova metaforicamente rappresentazione nella lunghissima (e tediosa) scena del vomito, fino al potere stesso che si ribalta nell’ultimo atto. In questo caso, così come vedremo di seguito, valutare criticamente questa tipologia di racconto è soltanto un aspetto laterale dell’intera analisi.
The Menu (Mark Mylod, 2022)
Uno tra gli ultimi esempi di “eat the rich” al cinema è rappresentato da The Menu di Mark Mylod. Indipendentemente dal gradimento e dalla valutazione critica di questo film, è evidente che il lungometraggio – con Ralph Fiennes, Nicholas Hoult e Anya Taylor-Joy – porti in scena una forma di insubordinazione rispetto alla forma di potere dominante, che si esprime nella formula (prettamente estetica e vuota di senso) della cucina gourmet ad altissimi livelli. Con un processo culinario che diventa sempre più violento, fino alla morte di tutti i commensali, The Menu porta in scena un’atroce critica della ricchezza come fenomeno di costume, che trova nel cibo raffinato una delle sue forme di collocazione e di giustificazione sociale.