Articolo pubblicato il 26 Aprile 2025 da Bruno Santini
Esordio dietro la macchina da presa per Dong Zijian, anche attore non protagonista all’interno del film, My Friend An Delie è un film che fa suoi i connotati del coming of age e dell’elaborazione del lutto, in una cornice particolarmente patinata (specie per quanto riguarda la fotografia) e in un racconto per lunga parte del film semplicistico, rispetto al tema trattato. Ne deriva un lungometraggio in cui sono piuttosto chiari tutti i segni e le imperfezioni tipiche dell’esordio, ma per cui si può notare anche qualcosa di interessante specie nella messa in scena. Direttamente dal Far East Film Festival 2025 di Udine, dove è stato presentato in anteprima italiana, di seguito proseguiamo con la recensione di My Friend An Delie.
Un more of the same senza troppi picchi e con molte ridondanze
C’è un rapporto di proporzionalità diretta, non di certo esatto ma per lunga parte ricercato, tra gli esordi e i racconti che affondano le proprie radici nel terreno dei coming of age. In alcuni casi, ma non parliamo di questo film, addirittura si aggiunge l’elemento autobiografico: non lo diciamo con accezione negativa, bensì constatando che la prima idea di un giovane regista è, spesso, quella di mostrare che sia proprio un giovane regista. Portando sullo schermo l’omonimo romanzo di Shong Xuetao, il regista e attore di diversi film di Jia Zhangke tenta di imporsi immediatamente nel panorama cinematografico orientale (e non soltanto) con una rappresentazione evidentemente figlia del suo tempo, in cui l’estetica è una componente sempre più ricercata, talvolta molto più in termini di effetto e si conquista cromatica dello spettatore che in quanto a cornice coerente per una narrazione.
Il racconto è quello di due amici diametralmente opposti l’uno all’altro: uno timido e impacciato, incapace di affrontare le difficoltà (familiari, scolastiche, sociali che vive ogni giorno), l’altro è un ragazzo vispo e ribelle, che sembra opporsi a quella classe dominante rappresentata iconicamente da una professoressa imparziale e classista. L’incontro tra i due, che si ripropone a distanza di diversi decenni con la morte del padre del primo, offre il destro per la rappresentazione dello sviluppo di un rapporto negli anni, a partire da un’amicizia stentata che diventa sempre più forte, fino al dramma che attraversa i due personaggi.
È davvero difficile pensare che, al di là del riferimento al romanzo di cui parlavamo, My Friend An Delie non sia l’ultimo tassello di un certo modo di concepire l’adolescenza nell’ambito del cinema contemporaneo. Basti guardare di recente alla produzione (anche italiana) di film come Otto Montagne o Close per ritrovare delle chiavi rappresentative molto simili, nel rapporto di amicizia/amore tra due adolescenti, con degli sviluppi che cambiano a seconda delle esigenze narrative. Naturalmente, poiché la reiterazione in sé non è di certo il problema, la questione si pone nel momento in cui My Friend An Delie si accontenta di ritrovarsi in una (seppur molto interessante e pregna di preziosismo estetico) cornice meritevole, molto spesso fatta di silenzi e contemplazione. Tuttavia, sembra essere davvero troppo poco rispetto alla mole che il film vorrebbe avere.

La recensione di My Friend An Delie: elaborazione del lutto e “problemi nel cervello”
È interessante notare come l’attenzione al tema della mente e delle sue attitudini, anche problematiche, stia diventando sempre più centrale nel cinema contemporaneo. Ci sono film che ne costituiscono l’essenza, e dal Far East Film Festival 2025 ne arriva uno come Teki Cometh, e altri che tentano di scimmiottarne le componenti. Purtroppo, My Friend An Delie appartiene a questa seconda categoria, con una trattazione della componente psicologica che si avvicina così tanto drasticamente al tema solito dell’amico immaginario da compiere tanti passi indietro, anche dal punto di vista storico e cronologico del cinema.
Certo, in questo caso si fa a meno di tutta quella retorica stucchevole del ragazzo problematico, e si lascia all’atteggiamento grezzo di un padre (di cui si apprezza l’interpretazione di Ning Li) che definisce la complessa elaborazione del lutto di Li Mo “problema nel cervello”, ma siamo comunque di fronte a un trattamento troppo semplicistico. Il film di Dong Zijian fa percepire allora tutto il suo essere un esordio, con elementi favolistici che sono proprio di uno sguardo acerbo (ma certamente non biasimabile in quanto tale) e con una serie di didascalismi figli di una cultura del grande schermo tutto sommato contemporanea, in cui si lascia allo spettatore francamente poco spazio per mettere alla prova la sua comprensione.
Ne è testimone la scena finale, che segue quella del dialogo tra il Li Mo adulto e il An Delie rimasto bambino (poiché scomparso proprio il giorno in cui il giovane Li Mo lo vide morire), in cui il protagonista telefona a sua zia dicendo di “essere finalmente ripartito”. Tante, troppe parole, per un film che punta sulle immagini ma le trasforma ben presto in sfondi estetizzanti.